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L’agguato di Trump a Ramaphosa nello Studio Ovale sul “genocidio dei bianchi”

Il presidente sudafricano ha replicato che sono atti di violenza di estremisti condannati dal suo governo

Massimo JausbyMassimo Jaus
Time: 4 mins read

Inviti e agguati alla Casa Bianca. Un incontro carico di tensione quello avvenuto nello Studio Ovale tra Donald Trump e il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, trasmesso in diretta dai canali all news, che ha vagamente portato alla mente quello avuto settimane fa con il leader ucraino Volodymyr Zelensky.

L’incontro era iniziato con convenevoli e discussioni su golf e politica estera, ma sono durati poco.

Lo scopo, almeno per il presidente sudafricano, era quello di convincere Trump a stringere accordi commerciali con il suo Paese dopo che la Casa Bianca ha tolto gli aiuti in risposta a una controversa legge sull’espropriazione dei latifondi varata dal governo di Pretoria. Una misura voluta dal Parlamento sudafricano e approvata dal presidente che consente al governo di espropriare i terreni senza un compenso economico. “Una rapina di Stato” voluta da Ramaphosa, sostengono gli Afrikanen.

Il governo sudafricano sostiene che la legge è stata varata per riequilibrare le conseguenze economiche causate dal secolo di colonialismo e apartheid in cui i bianchi, che sono il 7% della popolazione, ancora oggi sono i proprietari del 75% dell’industria agricola e alimentare del Paese.

Per il governo sudafricano si tratta di una “correzione” al colonialismo, per il capo della Casa Bianca di un provvedimento razzista contro i bianchi. Da mesi, dopo che l’amicizia del presidente con Elon Musk si è cementata, sono aumentate le tensioni tra Stati Uniti e Sud Africa.

In questo clima surriscaldato, Trump non ha perso tempo chiedendo a Ramaphosa chiarimenti “sulle brutte cose che stanno avvenendo in Sudafrica” e per avvalorare le sue affermazioni ha mostrato a lui e a tutto lo Studio Ovale un lungo documentario di denuncia sulle uccisioni e sulle violenze fatte agli agricoltori bianchi sudafricani. Una strategia preparata in precedenza perché in contemporanea su Truth Social, mentre veniva trasmesso il video alla Casa Bianca, comparivano “le prove e le testimonianze degli eccidi commessi nei confronti dei bianchi”.

Alla fine del documentario, Ramaphosa ha chiesto a Trump: “Le hanno detto dove è stata girata questa scena?”. Trump ha risposto di no, “è in Sudafrica”. Gli ha risposto il presidente sudafricano: “Se ci fosse un genocidio dei latifondisti bianchi, credo che questi tre signori non sarebbero qui, compreso il mio ministro dell’Agricoltura”, indicandogli John Henry Steenhuisen e i tre campioni di golf che erano parte della delegazione che lo ha accompagnato alla Casa Bianca.

Ramaphosa è stato molto abile a non replicare affermando che gli atti di violenza sono opera di “una minoranza di estremisti”, che quella “non è la linea del governo” e che Trump dovrebbe ascoltare le voci e le prospettive dei nativi sudafricani, compresi alcuni che lo avevano accompagnano nella sua visita negli Stati Uniti. Il presidente sudafricano ha riconosciuto che nel Paese esiste un problema con la “criminalità”, ma ha osservato che la maggior parte delle vittime di reati sono nere.

Il Ministro dell’Agricoltura sudafricano John Steenhuisen, che è bianco, è intervenuto durante l’incontro per denunciare il linguaggio usato nel video. Ha affermato che le persone che sono state registrate sono leader dei partiti di opposizione in Sudafrica e che il governo Ramaphosa si è impegnato a tenerli lontani dal potere.

A un certo punto, Trump ha anche menzionato che l’amministratore delegato di Tesla, Elon Musk, è sudafricano, suggerendo di non voler trascinare Musk nel dibattito mentre il miliardario era in piedi nella stessa stanza accanto al vicepresidente JD Vance e al segretario alla Difesa Pete Hegseth.

Per evitare di rispondere alle domande sul Boeing ricevuto in regalo dal Qatar e accettato dal Pentagono, Trump ha incolpato i giornalisti di usare un diversivo per non parlare del genocidio dei bianchi in Sudafrica. Ramaphosa ha colto la palla al balzo e sorridendo, per sdrammatizzare la tensione che si era creata, gli ha detto: “Mi dispiace, non ho un aereo da regalarti”.

All’inizio di questo mese, l’amministrazione Trump ha accolto con favore un aereo con a bordo 49 afrikaner a cui è stato concesso lo status di rifugiati politici. La mossa ha suscitato perplessità, data la sospensione più ampia del programma per i rifugiati e la repressione dell’immigrazione da parte della Casa Bianca.

Secondo la rivista “Review of Political Economy”, in Sudafrica le famiglie bianche sono 20 volte più ricche di una famiglia nera di classe media. I problemi del Paese che spingono i bianchi sudafricani ad emigrare e chiedere asilo sono la criminalità, l’insicurezza, soprattutto nelle zone rurali per gli attacchi alle fattorie, le dispute territoriali e il “razzismo di ritorno” dei neri. Secondo l’economista Dawie Roodt, il Paese attraversa una grave crisi post-coloniale e attualmente 32 milioni di persone ricevono il proprio reddito dallo Stato e lo Stato non può più mantenerli. Per i bianchi sudafricani tuttavia ci sono stati problemi di occupazione dopo l’Employment Equity Act del 1998 che mira a stabilire rappresentanze proporzionali a tutti i gruppi etnici in tutti i livelli e categorie professionali. La maggior parte dei miliardari sudafricani sono bianchi, riflettendo le persistenti disuguaglianze economiche ereditate dall’era dell’apartheid. Nonostante gli sforzi per promuovere l’empowerment economico delle comunità precedentemente svantaggiate, la ricchezza rimane concentrata soprattutto tra i bianchi.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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