Una presa di posizione congiunta e insolitamente severa da parte di Regno Unito, Francia e Canada ha acceso uno scontro diplomatico con Israele, accusato di aver oltrepassato il limite nella sua nuova offensiva militare nella Striscia di Gaza. “Abbiamo sempre difeso il diritto di Israele a proteggersi dal terrorismo”, si legge nella dichiarazione diffusa nella serata di lunedì, “ma questa escalation è del tutto sproporzionata”.
I tre Paesi hanno bollato come “azioni gravi” non solo la ripresa dell’offensiva contro Hamas, ma anche le restrizioni umanitarie imposte da mesi. “Se Israele non interromperà immediatamente le operazioni militari e non rimuoverà i blocchi agli aiuti umanitari, adotteremo ulteriori misure concrete”, hanno ammonito i governi di Londra, Parigi e Ottawa.
La risposta israeliana non si è fatta attendere. Il premier Benjamin Netanyahu ha accusato gli alleati occidentali di offrire un “premio enorme” a Hamas con le loro critiche. “Questo è uno scontro tra civiltà e barbarie. Israele continuerà a difendersi con mezzi giusti fino alla vittoria totale”, ha dichiarato sui social, evocando il massacro del 7 ottobre 2023 come giustificazione della linea dura.
Nel frattempo, i segnali di un imminente attacco su larga scala si moltiplicano. Netanyahu ha paventato apertamente la possibilità di un’occupazione totale di Gaza e il trasferimento forzato della popolazione palestinese verso “aree designate”. E mentre la macchina bellica avanza, l’accesso agli aiuti umanitari resta quasi completamente bloccato: negli ultimi due mesi nessun carico ha varcato i valichi. Solo domenica, sotto pressioni internazionali, Israele ha autorizzato un ingresso simbolico di cinque camion. Al momento, tuttavia, l’ONU non ha potuto ritirarli in quanto mancherebbe coordinamento operativo sul lato israeliano del confine.
Anche la mediazione diplomatica sembra al palo. A Doha, i negoziati tra Israele e Hamas, condotti con la supervisione del Qatar, restano impantanati. “I colloqui non stanno portando da nessuna parte”, ha ammesso martedì il primo ministro qatariota Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, parlando dal Qatar Economic Forum. “Le divisioni restano profonde. Dopo la liberazione del soldato israelo-americano Edan Alexander, ci aspettavamo un’apertura, ma la risposta è stata una nuova ondata di raid”. Secondo il premier, “questo comportamento irresponsabile e aggressivo mina qualsiasi speranza di pace”.
Il piano su cui si basano i negoziati – il cosiddetto “Witkoff framework”, dal nome dell’inviato speciale americano – prevede una tregua iniziale di 40-50 giorni in cambio della liberazione di dieci ostaggi in vita, seguita da ulteriori fasi di rilascio e disarmo. Ma il dialogo è in stallo, al punto che Israele ha considerato il ritiro della propria delegazione da Doha già lunedì, salvo poi decidere di lasciarla in sede “per esplorare ogni possibilità”, come riferisce l’ufficio del primo ministro.
Nel frattempo, il governo israeliano stringe il cerchio anche sul piano interno. Domenica, il Comitato ministeriale per la legislazione ha dato il via libera a una proposta di legge per designare il Qatar come “Stato sostenitore del terrorismo”, aprendo la strada a una votazione preliminare alla Knesset.
Non è ancora chiaro che tipo di sanzioni intendano adottare Regno Unito, Francia e Canada qualora Israele ignorasse l’ultimatum. Ma da più capitali europee, come L’Aia, arriva una richiesta di revisione dell’accordo di associazione tra Israele e Unione Europea, che regola i rapporti commerciali e politici. Il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot ha espresso sostegno all’iniziativa, dichiarando alla radio che “la violenza cieca e il blocco umanitario attuato dal governo israeliano hanno trasformato Gaza in una trappola mortale”.