Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato nella serata di domenica che sarà consentito l’ingresso a Gaza di una quantità limitata di generi alimentari in risposta alle crescenti pressioni esercitate dagli alleati occidentali.
“La decisione è stata presa su raccomandazione dell’esercito,” ha riferito l’ufficio del primo ministro, sottolineando che si tratterà di un’apertura parziale, destinata a prevenire una crisi umanitaria conclamata. Il comunicato è arrivato poche ore dopo che l’esercito aveva lanciato una vasta operazione terrestre che, secondo fonti palestinesi, avrebbe causato la morte di oltre 150 persone in 24 ore.
Netanyahu ha confermato la svolta in un discorso trasmesso lunedì: “Alcuni dei nostri più grandi amici ci hanno detto: ‘Non possiamo tollerare immagini di fame di massa. Non potremo continuare a sostenervi’.” Ha quindi aggiunto che “per vincere, dobbiamo trovare un modo per affrontare anche questa emergenza.”
Il premier ha precisato che gli aiuti autorizzati saranno “minimi”, senza fornire dettagli su tempistiche o modalità di consegna. Intanto, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari ha confermato che Tel Aviv ha aperto un canale di comunicazione per discutere una ripresa “limitata” delle consegne, ma i colloqui sono ancora in corso a causa delle condizioni operative “estremamente critiche” sul terreno.
Le autorità palestinesi non avrebbero però ancora ricevuto indicazioni ufficiali circa l’apertura dei valichi. “Non siamo stati informati su quando e come dovrebbe avvenire l’ingresso degli aiuti,” ha dichiarato Munir al-Bursh, direttore generale del Ministero della Salute di Gaza.
La decisione di Tel Aviv ha suscitato immediatamente reazioni ostili all’interno della compagine governativa. Il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha definito l’apertura un “errore gravissimo”, mentre il ministro del Patrimonio, Amichai Eliyahu, esponente del partito di estrema destra Otzma Yehudit, l’ha bollata come una “tragedia” che minerebbe “lo sforzo bellico per la vittoria”.
Secondo alcune organizzazioni per i diritti umani, Israele starebbe deliberatamente utilizzando la fame come arma di guerra per costringere la popolazione civile a lasciare l’enclave o per indebolire il sostegno a Hamas. Un’accusa che si somma al crescente isolamento diplomatico che Netanyahu sta cercando di arginare.
Sul piano politico, i colloqui indiretti con Hamas in corso a Doha, sotto la mediazione del Qatar, restano bloccati. Fonti vicine alla trattativa, citate da Reuters, riferiscono che non è emersa alcuna intesa concreta. Israele avrebbe posto sul tavolo condizioni già respinte in passato dal gruppo islamista, ossia un cessate il fuoco in cambio dell’esilio dei vertici di Hamas e della smilitarizzazione completa della Striscia.
“Stiamo parlando della fine della guerra e della liberazione degli ostaggi,” ha detto Netanyahu, pur ammettendo che le condizioni per un accordo non sono mature. “La battaglia è dura, ma stiamo avanzando. Il nostro obiettivo resta il pieno controllo di Gaza.”
Nel frattempo, l’IDF ha rivendicato l’eliminazione di “decine di miliziani” e la distruzione di oltre 670 obiettivi riconducibili ad Hamas nell’ultima settimana. L’offensiva ha colpito anche strutture sanitarie: secondo testimonianze raccolte da Al Jazeera, sono stati attaccati il complesso medico Nasser e l’ospedale indonesiano, dove risultano intrappolate almeno 55 persone, tra cui medici e infermieri.
Domenica, il Ministero della Sanità di Gaza ha registrato almeno 464 morti in sette giorni, molti dei quali donne e bambini. Altre 23 vittime sarebbero state confermate nella sola mattinata di lunedì, tra cui sei a Khan Younis e cinque nei pressi del mercato di al-Faluja, a Jabalia.