Una vera e propria resa dei conti finanziaria è in corso nelle università americane. Sia le prestigiose Ivy League che le scuole statali, sono state colpite duramente dalle recenti politiche di taglio dei finanziamenti volute dall’amministrazione Trump. La riduzione dei fondi federali, che coinvolge miliardi di dollari destinati alla ricerca, ha portato a una serie di misure drastiche: blocco delle assunzioni, pause nei progetti di ricerca, interruzioni generalizzate ai bilanci e, in alcuni casi, licenziamenti significativi.
L’amministrazione Trump ha infatti messo in discussione il tradizionale sostegno economico ai campus su più fronti: ha minacciato e ritirato il denaro destinato alla ricerca, giustificando le azioni con preoccupazioni legate all’antisemitismo e alle politiche di diversità e inclusione DEI, ha introdotto restrizioni sui finanziamenti esteri, e sono al vaglio misure per aumenti delle tasse sui fondi di dotazione universitari.
Ruth Johnston, vicepresidente della National Association of College and University Business Officers, un’organizzazione statunitense che rappresenta oltre 1.700 istituzioni accademiche, ha affermato che la situazione dovrebbe imporre un ripensamento profondo del modello di “foraggiamento” dell’istruzione superiore.
Questo modello si basa su rette universitarie elevate, fondi pubblici in calo e una crescente dipendenza da finanziamenti privati. Le università investono molto in marketing, infrastrutture, spesso trascurando l’accessibilità e la missione educativa. Secondo Johnston, è tempo di ripensare radicalmente questo approccio, per costruire un sistema più equo, sostenibile e centrato sugli studenti.
Ad Harvard, epicentro di una battaglia legale con il governo, le conseguenze sono palpabili. Il presidente Alan Garber ha accettato una decurtazione del proprio stipendio del 25%, mentre comitati interni analizzano il personale e cercano strategie per mantenere attiva la ricerca. Hopi Hoekstra, preside della facoltà di arti e scienze, ha sottolineato che l’università deve agire immediatamente per preservare la propria missione, consapevole che anche in caso di vittoria giudiziaria, il livello dei finanziamenti difficilmente tornerà ai valori precedenti. La scuola di sanità pubblica dell’ateneo, fortemente dipendente dalle sovvenzioni, ha già disposto licenziamenti e riduzioni nelle ammissioni, oltre a tagli nelle spese quotidiane come il catering e i servizi di stampa.
Nonostante il duro colpo, il campus ha annunciato un impegno straordinario di 250 milioni di dollari per compensare temporaneamente le perdite, mentre gli analisti prevedono che le università cercheranno di proteggere il nucleo accademico il più a lungo possibile, rinviando le soluzioni più dolorose.
Anche Columbia University, ha dovuto affrontare la perdita di oltre 300 finanziamenti pluriennali, che hanno provocato il licenziamento di circa il 20% dei dipendenti collegati a tali risorse e hanno spinto i ricercatori a attingere a fondi interni per salvare i progetti a breve termine. La leadership universitaria ha ammesso di trovarsi sotto una forte pressione, che richiede di ripensare l’intera struttura dei bilanci.
Robert Kelchen, professore all’Università del Tennessee, ha spiegato che queste università di élite, che in passato avevano resistito a molte difficoltà economiche, sono oggi quelle più colpite dal cambiamento. Ha inoltre osservato come le istituzioni in stati controllati dai Democratici stiano affrontando apertamente la crisi, mentre quelle negli stati repubblicani tendano a non esporsi pubblicamente.
Lo Stato del Michigan, ad esempio, ha già annunciato la necessità di rivedere i propri piani finanziari, mentre Princeton University, ha avvertito i propri dipartimenti di prepararsi a contrazioni del budget dal 5% al 10% nei prossimi tre anni, in vista delle politiche di austerità.