Un piccolo osservatorio dell’Università di Harvard guarda il cielo 24 ore su 24. Non cerca stelle o supernove, ma qualcosa di ben più controverso: gli UFO, o per usare il termine più moderno e meno carico di suggestioni, gli UAP, fenomeni anomali non identificati. Il progetto si chiama Galileo ed è stato fondato nel 2021 da Avi Loeb, fisico teorico di Harvard noto per le sue teorie non convenzionali, ma sempre fondate su metodo scientifico.
Nel team spicca la figura di Garance Dominé, brillante e giovane scienziata francese, formatasi all’École Polytechnique e a Stanford, dove ha studiato i neutrini, particelle quasi invisibili, capaci di attraversare l’intero pianeta indisturbate. Ma invece di proseguire la carriera accademica tradizionale, Dominé ha scelto un percorso alternativo: contribuire alla creazione di una nuova scienza dell’inspiegabile.
L’osservatorio che si occupa dello studio è un modesto insieme di sensori: telecamere a infrarossi, contatori di particelle, spettrometri e magnetometri, tutti puntati verso il cielo. Ma il vero cuore pulsante della ricerca è l’intelligenza artificiale. Software avanzati analizzano in tempo reale enormi quantità di dati per distinguere tra oggetti noti, aerei, droni, uccelli e anomalie che sfuggono a ogni classificazione.
Richard Cloete, collega di Dominé, sottolinea che proprio perché non si sa esattamente cosa si sta cercando, è fondamentale sapere con precisione cosa non è un UAP. Il sudafricano, ha iniziato la sua carriera costruendo bobine di Tesla e radio amatoriali, per poi laurearsi in ingegneria in Inghilterra. Attualmente coordina lo sviluppo di un vasto database di oggetti volanti, sia reali che generati artificialmente con software come Blender, utilizzato per addestrare gli algoritmi dell’operazione.
Gli strumenti, collegati a potenti cluster di calcolo dell’università, imparano così a riconoscere tutto ciò che è convenzionale nella volta celeste, per poi allertare i ricercatori quando qualcosa sfugge a ogni modello. A quel punto, l’osservatorio attiva automaticamente altre telecamere e salva i dati per un’analisi approfondita.
Non si tratta di inseguire alieni con l’alluminio in testa, ma di usare il rigore scientifico per affrontare una delle domande più affascinanti dell’umanità: siamo soli? Loeb, noto per le sue teorie controverse sull’esistenza di vita extraterrestre, ha attirato l’attenzione nel 2018 ipotizzando che l’oggetto interstellare “Oumuamua” potesse essere una sonda aliena. Da allora, ha trasformato il sospetto in analisi metodica, sostenendo che “l’universo sia troppo grande per escludere a priori l’ipotesi extraterrestre”.
Il Progetto Galileo non è solo un’iniziativa accademica. Dopo le rivelazioni del 2017 del quotidiano statunitense New York Times sull’interesse segreto del Pentagono per gli UAP, il Congresso ha ordinato al Dipartimento della Difesa di pubblicare un rapporto annuale sul tema e ha creato l’AARO, un apposito ufficio. Anche altri istituti, dal Wellesley College al Nordic Institute for Theoretical Physics, stanno avviando ricerche simili.
Dominé, che da bambina si appassionava allo studio delle lingue e alla programmazione informatica, ha sempre cercato risposte ai grandi misteri. Tra i suoi riferimenti ci sono non solo Einstein, ma anche Jacques Vallée, l’astronomo e ufologo francese che ha ispirato il film “Incontri ravvicinati del terzo tipo”. Per la scienziata, l’analisi degli UAP non implica necessariamente una credenza negli alieni, bensì rappresenta un modo autorevole di esplorare ciò che ancora non conosciamo.