Negli Stati Uniti, l’incubo dell’ingerenza tecnologica si riaffaccia sotto forma di minuscoli dispositivi inseriti all’interno di infrastrutture per l’energia pulita. Secondo un’inchiesta condotta dall’agenzia di stampa Reuters, alcuni inverter di energia solare prodotti in Cina conterrebbero dei cosiddetti “kill switch”, ovvero interruttori in grado di spegnere o sabotare il funzionamento della rete elettrica. Una minaccia silenziosa ma potenzialmente devastante.
Stando a quanto rivelato da fonti anonime, in alcuni di questi apparecchi, in particolare inverter e batterie per accumulo, sarebbero stati individuati dei “meccanismi di comunicazione canaglia”, tra cui anche radio cellulari, capaci di dialogare con sistemi esterni non autorizzati. Gli esperti, nel rapporto, hanno avvertito che un simile apparato potrebbe essere sfruttato per destabilizzare le “power grids” su larga scala, provocando blackout diffusi. Uno degli analisti avrebbe dichiarato che esiste un percorso integrato per “distruggere fisicamente la rete”, una prospettiva che alza drasticamente il livello di allarme nazionale.
Il Dipartimento dell’Energia americana ha comunque adottato una posizione cauta, affermando che, pur non essendoci prove di un intento malevolo negli strumenti esaminati, resta fondamentale che gli acquirenti siano pienamente consapevoli delle capacità tecnologiche dei prodotti importati. La trasparenza, in questo contesto, diventa un requisito imprescindibile per garantire la sicurezza.
Pechino, ha reagito duramente alle accuse. L’ambasciata cinese a Washington ha definito il rapporto “distorto” e ha accusato gli Stati Uniti di diffamare senza fondamento i risultati dell’industria tecnologica cinese. Anche il Ministero del Commercio del “Paese di Mezzo” ha respinto le critiche, anzi sostiene che le preoccupazioni americane siano del tutto infondate e che l’intero impianto accusatorio rappresenti un tentativo di politicizzare e militarizzare questioni economiche e commerciali. In una nota ufficiale, la Cina ha fatto sapere che prenderà “tutte le misure necessarie per difendere i diritti e gli interessi delle sue imprese”.
Il contesto geopolitico aggiunge ulteriore tensione. A dicembre, la Repubblica Popolare Cinese ha espresso forte disapprovazione per un disegno di legge sulla difesa approvato dalla Camera dei Rappresentanti statunitense, che prevede uno stanziamento di 3 miliardi di dollari per rimuovere apparecchiature di telecomunicazione, tra cui quelle di Huawei e ZTE, dalle infrastrutture a stelle e strisce. Un provvedimento che, secondo Pechino, rappresenta l’ennesimo passo verso la frammentazione digitale globale.