Le anticipazioni tratte dal libro “Original Sin: President Biden’s Decline, Its Cover-up, and His Disastrous Choice to Run Again”, scritto dai giornalisti Jake Tapper di CNN e Alex Thompson di Axios, in uscita il 20 maggio, offrono un ritratto impietoso della fine politica e umana di Joe Biden. Un presidente che, secondo gli autori, non avrebbe mai dovuto riproporsi. E un partito che, per timore o convenienza, ha preferito ignorare la realtà fino all’irreparabile.
Il volume, già al centro del dibattito politico negli Stati Uniti, ricostruisce i mesi che hanno preceduto la ricandidatura del politico, rivelando una combinazione pericolosa di declino fisico e cognitivo, fedeltà cieca e strategie mal calibrate. Una disfatta annunciata quindi che ha spianato la strada al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.
Già nel 2023, secondo le fonti raccolte da Tapper e Thompson, le condizioni fisiche e mentali del leader democratico erano motivo di forte allarme tra consiglieri, parlamentari e finanziatori. Episodi di disorientamento, difficoltà motorie, vuoti di memoria e discorsi incoerenti venivano sistematicamente minimizzati o nascosti. Alcuni collaboratori ipotizzavano persino l’uso di una sedia a rotelle, nel caso di rielezione.
Nonostante ciò, una cerchia ristretta di fedelissimi, tra cui la First Lady Jill Biden, avrebbe difeso con forza l’immagine di un uomo ancora lucido e competitivo. Ogni voce contraria veniva marginalizzata, ogni cattiva notizia schermata. L’atmosfera all’interno della White House veniva descritta come permeata da un “ottimismo forzato”, dove dire la verità era quasi un atto di insubordinazione.
Il punto di rottura è arrivato il 27 giugno 2024, durante il primo dibattito televisivo contro Trump. Milioni di americani hanno potuto vedere realmente ciò che molti già conoscevano da tempo: un presidente stanco, incerto, visibilmente provato.
Per il Partito Democratico è stato uno shock. David Plouffe, ex stratega di Barack Obama, ha definito la situazione un “fottuto incubo”. E a Hollywood da sempre serbatoio di sostegno finanziario e mediatico dello schieramento, la delusione si è trasformata in rabbia.
George Clooney, che pochi giorni prima del confronto aveva partecipato a un evento di fundraising con Biden e lo aveva trovato “gravemente sminuito, come qualcuno che non era vivo”, decise di pubblicare un editoriale sul New York Times il 10 luglio dal titolo “Amo Joe Biden. Ma abbiamo bisogno di un nuovo candidato”. È stato uno degli atti finali che hanno spinto “il simbolo della vecchia guardia” al ritiro ufficiale, annunciato il 21 luglio.
Una fonte interna alla Casa Bianca, citata nel libro e riportata dal settimanale statunitense The New Yorker, avrebbe descritto il comportamento del presidente come un vero e proprio “abominio”, sostenendo che con la sua condotta avrebbe sottratto non solo l’elezione al Partito Democratico, ma anche al popolo americano.
Un’accusa pesantissima che sintetizza il vero centro dell’opera: la candidatura Biden non è stata solo un errore politico, ma una forma di “gaslighting istituzionale”. Una colossale rimozione della realtà che ha coinvolto sia lo staff del presidente, sia i vertici democratici e parte dei media liberal, colpevoli, secondo gli autori, di aver alimentato la bugia per troppo tempo.
Biden, scrivono Tapper e Thompson, non era animato da egoismo, ma dal desiderio sincero di fermare Trump. Tuttavia, la sua ostinazione unita all’incapacità del partito di creare un’alternativa credibile in tempo utile ha prodotto un risultato opposto. Kamala Harris, subentrata in corsa, non ha avuto il tempo né lo spazio per costruire una campagna solida. Il danno era già stato fatto.