Non tutto può essere accettato in nome della continuità. È quanto accaduto negli Stati Uniti, dove la Chiesa Episcopale ha annunciato una clamorosa rottura con il governo federale, ponendo fine a un legame quarantennale costruito sulla solidarietà verso i richiedenti asilo.
La decisione nasce dalla ferma opposizione all’ordine esecutivo dell’Amministrazione Trump, che impone il reinsediamento prioritario e in pratica esclusivo di afrikaner bianchi provenienti dal Sudafrica, considerati rifugiati sulla base di presunte persecuzioni razziali.
Il presidente repubblicano, ritiene che siano vittime di discriminazioni e violenze sistematiche nel loro Paese d’origine. Una narrazione, questa, respinta con decisione non solo dal governo sudafricano, ma anche da una coalizione di leader religiosi bianchi, molti dei quali anglicani, che in una lettera aperta hanno definito le affermazioni infondate e mosse da fini politici.
Il gesto della Chiesa Episcopale è tutt’altro che simbolico. Il vescovo presidente, Sean W. Rowe, ha spiegato in una lettera ai fedeli che la richiesta del governo di reinsediare solo afrikaner sudafricani ha segnato un confine etico invalicabile per l’organizzazione. Richiamando la tradizione anglicana e i legami con la lotta contro l’apartheid, Rowe ha ribadito che l’impegno della Chiesa per la giustizia razziale non consente di appoggiare un’accoglienza selettiva, in cui il colore della pelle diventa criterio di salvezza.
In virtù di questa posizione, tutti i programmi di ricollocamento finanziati da fondi federali saranno chiusi entro settembre. Tuttavia, la Congregazione non abbandonerà i profughi: continuerà a sostenerli tramite risorse autonome e attività indipendenti.
L’iniziativa ha suscitato reazioni immediate. La Casa Bianca, attraverso la portavoce Anna Kelly, ha criticato duramente la scelta episcopale, mettendo in dubbio la coerenza del suo impegno umanitario. Secondo Kelly, gli afrikaner avrebbero subito “orrori indicibili” e meriterebbero quindi, quanto gli altri, l’opportunità di essere accolti.
Tuttavia, i riscontri delineano una realtà ben diversa. L’ordine esecutivo firmato dal leader del GOP all’inizio del suo mandato ha di fatto paralizzato l’intero sistema dei rifugiati, lasciando migliaia di persone, cristiani perseguitati, dissidenti politici, minoranze etniche, senza protezione e senza prospettive. Le poche eccezioni al blocco, denunciano diverse organizzazioni religiose e umanitarie, sembrano proprio coincidere con gli afrikaner sudafricani.
Rick Santos, presidente del Church World Service, uno dei gruppi che ha intentato causa contro l’amministrazione repubblicana, ha evidenziato che mentre il governo velocizza l’ingresso di questo gruppo etnico, continua a ostacolare l’attuazione delle sentenze che dovrebbero riattivare il piano per altre persone in pericolo. Questo, a suo avviso, dimostrerebbe che la macchina dell’ospitalità è tutt’altro che inceppata, ma solo gestita in modo discriminatorio. La Chiesa Episcopale non è nuova a posizioni coraggiose: già negli anni ’60 aveva disinvestito dalle aziende legate all’apartheid, anticipando le campagne globali di boicottaggio. Oggi, nel respingere un modello di inclusione etnicamente orientato, rinnova un principio guida della propria missione: non basta aprire le porte, occorre farlo con giustizia.