Un video virale, agenti federali a volto coperto e una studentessa straniera arrestata per un articolo critico verso Israele. È questa la sequenza che ha trasformato il caso di Rumeysa Ozturk, dottoranda turca alla Tufts University, Massachusetts, in un simbolo delle crescenti pressioni esercitate dall’amministrazione Trump sugli studenti pro-palestinesi nei campus americani. Dopo sei settimane trascorse in un centro di detenzione per immigrati in Louisiana, un giudice federale ha ordinato la scarcerazione immediata della ragazza, definendo l’arresto “illegale” e lesivo del diritto costituzionale alla libertà di espressione.
La decisione è arrivata da William Sessions III, nominato durante l’amministrazione Obama, che ha stabilito che la detenzione della trentenne turca era “ingiustificata e rischiava di scoraggiare la libertà di parola di milioni e milioni di persone che non hanno la cittadinanza americana”.
Ozturk, in possesso di un regolare visto per il suo dottorato in psicologia, era stata bloccata a marzo nei pressi del campus da agenti del Dipartimento per la Sicurezza nazionale, che dopo il fermo si erano coperti il volto, come mostrano le riprese diffuse online. Accusata di sostenere Hamas, organizzazione designata come terroristica dagli Stati Uniti, la studentessa è finita al centro di uno dei casi più controversi legati alla stretta promessa dal presidente Trump contro soggetti coinvolti nelle proteste filopalestinesi.
Secondo quanto riportato dai suoi legali, la giovane farà ritorno in Turchia sabato, considerato che il visto le è stato annullato al momento dell’arresto. La scarcerazione della dottoranda non ha posto fine al clima di tensione che da settimane attraversa le istituzioni statunitensi. Nonostante l’intervento del togato, arresti e perquisizioni continuano in numerose università, spesso con l’impiego di agenti in tenuta antisommossa e con modalità che sollevano interrogativi sul rispetto delle libertà civili. Mentre cresce la mobilitazione a favore dei diritti palestinesi, aumenta anche la preoccupazione per una deriva repressiva che rischia di colpire indiscriminatamente allievi e ricercatori stranieri.