New York, Chicago, Seattle, Denver, Houston, Las Vegas, Washington e San Francisco stanno sprofondando a un ritmo compreso tra 2 e 10 millimetri l’anno. A lanciare l’allarme è uno studio pubblicato su Nature Cities da un team di ricerca del Virginia Tech, che attribuisce il fenomeno a fattori come il peso e la pressione degli edifici, l’estrazione delle acque sotterranee — responsabile dell’80% del fenomeno — e la crescente siccità legata al cambiamento climatico.
I ricercatori hanno analizzato i dati radar satellitari di 28 delle maggiori città statunitensi, che ospitano circa 34 milioni di persone (il 12% della popolazione). Le mappe ad alta risoluzione della subsidenza, ovvero il cedimento del terreno, mostrano che almeno il 20% delle aree urbane analizzate è sprofondato tra il 2015 e il 2020. In Texas, il fenomeno è aggravato dall’estrazione di petrolio e gas, coinvolgendo anche città come Fort Worth e Dallas.
Lo studio avverte che molte metropoli si stanno trasformando in zone vulnerabili a inondazioni e danni infrastrutturali. Tra le soluzioni proposte vi sono una gestione sostenibile delle falde acquifere, una pianificazione urbana più attenta, infrastrutture adeguate e attività costanti di monitoraggio.
“La natura latente di questo rischio implica che le infrastrutture possano essere silenziosamente compromesse nel tempo, con danni che diventano evidenti solo quando sono gravi o potenzialmente catastrofici”, spiega il ricercatore Manoochehr Shirzaei.
Leonard Ohenhen, coautore dello studio, sottolinea l’urgenza di agire: “Invece di limitarci a dire che è un problema, possiamo rispondere, affrontare, mitigare e adattarci. Dobbiamo passare alle soluzioni”.