Dopo settimane di pressioni pubbliche, interrogativi etici e colloqui con le procure generali di California e Delaware, OpenAI fa marcia indietro: il controllo della società non passerà a investitori privati, ma resterà saldamente nelle mani della fondazione originaria. Un passo che molti osservatori leggono come un segnale forte di trasparenza e responsabilità, in un momento cruciale per il futuro dell’intelligenza artificiale.
Lunedì, l’amministratore delegato Sam Altman ha comunicato ai dipendenti la decisione di mantenere l’assetto attuale: l’organizzazione no-profit continuerà a detenere il controllo del ramo commerciale della società. Il CEO ha ribadito che la compagnia è nata come una realtà senza fini di lucro, che oggi supervisiona un’entità for-profit, e che anche in futuro questa struttura resterà invariata.
A confermare la direzione anche Bret Taylor, presidente del consiglio d’amministrazione no-profit di OpenAI, che ha spiegato come il braccio economico verrà convertito in una public benefit corporation PBC: una forma giuridica che bilancia gli interessi degli azionisti con quelli della missione sociale.
La PBC resterà sotto il controllo della fondazione no-profit, che ne sarà anche il maggiore azionista. Altman ritiene che questo modello consentirà all’istituzione di raccogliere risorse per finanziare programmi in grado di amplificare l’impatto positivo dell’IA su settori cruciali come salute, educazione, servizi pubblici e ricerca scientifica.
L’imprenditore ha inoltre sottolineato come il sistema proposto sia coerente con la natura stessa di OpenAI, affermando che non si tratta di una “normale azienda” e che tale rimarrà. La direzione no-profit, ha aggiunto, è chiamata ora a proporre iniziative per promuovere un futuro più democratico per l’intelligenza artificiale, a beneficio di tutti e non solo di una ristretta élite.
Il cambio di rotta rappresenta anche una risposta indiretta a Elon Musk, cofondatore di OpenAI e oggi tra i suoi principali critici. Il magnate aveva accusato la società di aver tradito la missione originaria in favore del profitto e, all’inizio dell’anno, aveva guidato un’offerta da 97,4 miliardi di dollari per rilevare gli asset della fondazione. I suoi legali avevano fatto sapere che l’offerta sarebbe stata ritirata nel caso in cui OpenAI avesse rinunciato alla ristrutturazione commerciale.
Altman ha sempre smentito l’intenzione di vendere la società e il consiglio di amministrazione ha respinto all’unanimità la proposta del tycoon. La scelta odierna segna quindi una vittoria simbolica per chi chiede un’IA al servizio del bene comune, anche a costo di rinunciare a capitali e opportunità di mercato.