Negli Stati Uniti, l’influenza aviaria continua a diffondersi tra gli animali. Secondo i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), è passato ormai un anno dal primo caso umano rilevato in Texas. Attualmente si registrano almeno 70 casi e un decesso confermato nello stato della Louisiana.
Sebbene il virus si trasmetta principalmente tra i volatili, di recente si è propagato soprattutto attraverso mucche da latte infette. Di conseguenza, il consumo di latte non pastorizzato può rappresentare un rischio per la salute umana. Il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) ha riportato che, solo nel mese di marzo 2024, oltre 1.000 mandrie sono state contagiate in 17 stati.
Per fronteggiare l’emergenza, l’USDA ha stanziato 1 miliardo di dollari: 500 milioni destinati a misure di biosicurezza, 400 milioni in aiuti economici agli agricoltori colpiti, e 100 milioni per la ricerca e lo sviluppo di vaccini.
Nel frattempo, il CDC, in collaborazione con le autorità sanitarie statali e locali, ha monitorato almeno 16.600 persone esposte ad animali infetti e sottoposto a test circa 880 di loro. Parallelamente, l’USDA è incaricato dei test sul bestiame.
Tony Moody, professore di pediatria e immunologia presso la Duke University School of Medicine, ha sottolineato l’importanza di ampliare i controlli sia sugli animali che sulle persone per ottenere un quadro più chiaro della situazione. “La vera domanda è: quanto siamo disposti a testare per identificare i casi di trasmissione e comprendere la reale portata del fenomeno?”, ha dichiarato. “Servirebbe una sorveglianza più efficace e meglio coordinata.”
Moody ha inoltre evidenziato un limite nel sistema attuale: “Oggi abbiamo una visione parziale del problema, perché i test sugli animali sono gestiti da un dipartimento e quelli sugli esseri umani da un altro. Queste due agenzie non sempre comunicano in tempo reale e perseguono obiettivi diversi.”