Un veleno silenzioso e mortale si ramifica attraverso le città del Messico. Si tratta della droga, e in particolare del fentanyl, l’oppioide sintetico che sta mietendo migliaia di vittime negli Stati Uniti, ma la cui produzione e traffico passano in larga parte proprio dal territorio messicano, sotto il controllo di cartelli sempre più militarizzati. In questo contesto incandescente, è esplosa la tensione diplomatica tra il paese latino americano e Donald Trump, riportato sotto i riflettori da un linguaggio aggressivo e senza compromessi.
Sabato, la presidente messicana Claudia Sheinbaum ha rivelato di aver respinto con fermezza una proposta del repubblicano: inviare truppe statunitensi nello Stato per “aiutare” nella lotta al narcotraffico. Una proposta che, secondo Sheinbaum, viola apertamente l’indipendenza nazionale. “La sovranità non è in vendita”. ha tuonato la leader fra gli applausi, “la sovranità è amata e difesa”.
Il rifiuto arriva in risposta a un articolo del quotidiano Wall Street Journal che riportava di una telefonata tesa tra i politici, in cui il presidente americano avrebbe fatto pressioni per ottenere un intervento diretto dell’esercito USA contro i cartelli. Il leader del GOP, che già in passato aveva proposto azioni unilaterali contro i narcos, sembra determinato ad alzare il livello dello scontro, anche a costo di infrangere i confini della diplomazia.
Intanto, sul campo, la situazione è tutt’altro che sotto controllo. Negli ultimi mesi, la presenza militare americana è cresciuta lungo il confine sud, con l’invio di truppe, mezzi e sorveglianza aerea per monitorare i flussi di fentanyl. A febbraio, Trump aveva addirittura classificato alcuni cartelli come “organizzazioni terroristiche straniere”, aprendo a nuove forme di intervento armato e ampliando i poteri delle forze speciali.
Ma la risposta di Sheinbaum è stata inequivocabile: “Possiamo lavorare insieme, ma voi nel vostro territorio e noi nel nostro”. Un messaggio chiaro, quasi scolpito nella pietra: il Messico non accetterà mai soldati americani sul proprio suolo. Eppure, dietro la retorica della sovranità, resta una verità scomoda: le reti criminali sono sempre più potenti, infiltrate in ogni angolo dello Stato, capaci di controllare territori, intimidire politici e distribuire morte su scala globale.
La guerra alla droga, che dura da decenni, non ha trovato ancora una strategia efficace. Né le posizioni americane né il nazionalismo messicano sembrano offrire una soluzione duratura. Secondo la Drug Enforcement Administration, DEA, l’Agenzia statunitense per il contrasto al narcotraffico, oltre il 90% del fentanyl sequestrato negli Stati Uniti proviene dal Messico, dove viene prodotto a partire da precursori chimici importati principalmente dalla Cina. I cartelli messicani, in particolare quello di Sinaloa e il CJNG, Cartello Jalisco Nueva Generación, sono i principali responsabili della produzione e distribuzione.
Le entrate annuali provenienti da queste attività illecite si stima possano superare i 30 miliardi di dollari, gran parte dei quali derivanti dall’esportazione di droghe verso il Nord America. Nel 2023, negli Stati Uniti sono stati registrati oltre 74.000 morti per overdose da fentanyl, un numero drammaticamente legato alla filiera che parte proprio dal Paese. Sempre nello stesso anno sono stati sequestrati oltre 12.000 kg di questo oppiaceo lungo il confine sud, una quantità sufficiente, secondo gli agenti DEA, a uccidere l’intera popolazione americana più volte.