Due minuti e mezzo. Tanto dura il video in cui un uomo magro, dai capelli corti, entra in una stanza, estrae un mamba nero, uno dei serpenti più letali al mondo, da una cassa e lascia che gli morda il braccio sinistro. Subito dopo, porge il destro a un taipan della Papua Nuova Guinea. “Grazie per aver guardato”, dice con calma alla telecamera, mentre il sangue comincia a colargli lungo il braccio. Poi se ne va. La storia scioccante riportata dal quotidiano New York Times riguarda un 57enne che vive a Two Rivers, nel Wisconsin.
Tim Friede, non è uno “scienziato” nel senso convenzionale del termine. Eppure, grazie al suo corpo martoriato da circa 200 morsi di serpenti e oltre 650 dosi calibrate di veleno iniettate volontariamente, potrebbe aver contribuito alla svolta scientifica più importante nella lotta ai morsi dei rettili: la creazione di un antidoto universale.
I numeri parlano chiaro. Secondo le stime, ogni anno circa 2,7 milioni di persone vengono morse da aspidi. Di queste, 120.000 muoiono e altre 400.000 riportano danni permanenti. E con molta probabilità si tratta di dati al ribasso. Ma mentre deforestazione, urbanizzazione e cambiamenti climatici aumentano il rischio di contatto con questi animali, la ricerca sui sieri è rimasta sostanzialmente ferma a metodi sviluppati 130 anni fa.
Oggi i ricercatori, analizzando il sangue di Friede, hanno identificato anticorpi capaci di neutralizzare i veleni di più specie diverse. Il risultato è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Cell e rappresenta un possibile punto di svolta per la medicina tropicale. “Sono orgoglioso di poter fare qualcosa per l’umanità”, ha dichiarato, “anche per persone che vivono a 8.000 chilometri di distanza e che non incontrerò mai”.
L’incredibile percorso della “cavia umana” comincia con un morso innocuo, a cinque anni, da parte di un serpente giarrettiera. Ma è solo dopo il matrimonio e la nascita dei figli che l’uomo si lancia in esperimenti sempre più estremi.
“Lavoravo tutto il giorno, poi tornavo a casa, giocavo con i bambini e la sera andavo nel seminterrato a fare i miei esperimenti”. La casa all’epoca ospitava 60 serpenti velenosi. Subisce morsi accidentali, shock anafilattici, svenimenti e finisce in coma per quattro giorni. Si definisce uno studioso autodidatta, ma non esiste università, racconta, che possa insegnare ciò che ha imparato attraverso il proprio corpo.
Per anni, Friede ha proseguito la sua ricerca solitaria, sottoponendosi a iniezioni di veleno e morsi nella speranza di sviluppare un’immunità che potesse contribuire a una causa più grande. Nel 2017, il suo impegno ha attirato l’attenzione di Jacob Glanville, un immunologo e CEO della startup Centivax, che stava cercando individui con esperienze simili per un progetto innovativo. Quando Glanville ha contattato Friede, quest’ultimo ha risposto prontamente: “Aspettavo questa chiamata da tanto tempo”.
Lo studio guidato da Glanville, in collaborazione con Peter Kwong, esperto di immunologia della Columbia University di New York, ha rilevato che due potenti anticorpi nel sangue di Friede, se combinati con una molecola chiamata varespladib sono capaci di proteggere i topi dal veleno di 19 diverse specie letali.
Una scoperta rivoluzionaria, se si considera che gli antidoti attualmente disponibili funzionano solo su una manciata di serpenti della stessa zona geografica. E talvolta, il rischio di reazioni allergiche gravi agli attuali sieri, prodotti in cavalli o pecore, è più alto del pericolo stesso della sostanza tossica.
Gli esperti vogliono ora testare il trattamento in Australia, su cani, e sono alla ricerca di un ulteriore componente, forse ancora una volta presente nel sangue di Friede, per garantire una copertura completa contro tutte le specie analizzate.
L’ultimo esperimento a cui Friede si è sottoposto risale al 2018: un morso di cobra d’acqua. Pochi giorni dopo però la sua vita privata è cambiata radicalmente la moglie lo ha lasciato, portando con sé i figli. In quel momento, l’uomo ha finalmente capito che il suo lungo percorso di sacrifici aveva raggiunto il limite. Sebbene senta tuttora la mancanza dei rettili, ha ammesso di non rimpiangerne le dolorose punture che avevano segnato a lungo il suo corpo.