Iran e Stati Uniti tornano al tavolo delle trattative. Il prossimo confronto diretto – il quarto da inizio aprile – è in calendario per sabato a Roma, con la mediazione ormai abituale del Sultanato dell’Oman (che metterà a disposizione la propria ambasciata su Via della Camilluccia). Lo ha confermato il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, a margine del Consiglio dei ministri di Teheran.
Prima di allora, ha aggiunto, è previsto per venerdì un faccia a faccia con le controparti di Francia, Germania e Regno Unito, sempre nella Città eterna.
L’obiettivo è quello di sbloccare il dossier nucleare, che nelle ultime settimane ha subito un’accelerazione su entrambi i fronti: da un lato la produzione iraniana di uranio arricchito vicino alla soglia militare, dall’altro la pressione americana per evitare un’escalation. “Vogliamo costruire su quanto emerso nei colloqui di Mascate – ha spiegato Araghchi – e verificare le reali intenzioni degli europei, soprattutto in vista della possibile reintroduzione delle sanzioni Onu dopo ottobre”.
L’Italia torna così a ospitare un round delicatissimo, che fa seguito ai precedenti tenutisi nell’ambasciata omanita a Roma e a Mascate. Due fonti diplomatiche citate da Reuters hanno confermato che i cosiddetti “E3” europei – ovvero Parigi, Berlino e Londra – saranno rappresentati dai rispettivi direttori politici.
Lunedì, la Francia ha comunque minacciato apertamente di ripristinare in blocco le sanzioni sospese con l’accordo sul nucleare del 2015 qualora Teheran metta a rischio la sicurezza europea. “Non esiteremo un solo istante”, hanno fatto sapere Parigi, Berlino e Londra con una dichiarazione congiunta.
La reazione iraniana è stata immediata e durissima. In una nota trasmessa all’agenzia ISNA, la missione dell’Iran presso le Nazioni Unite ha condannato “l’uso di minacce e ricatti economici”, definendolo “del tutto inaccettabile”. Il messaggio, rilanciato anche dal ministero degli Esteri, accusa l’Europa di voler sabotare l’unica via possibile: “Una diplomazia autentica non può prosperare sotto pressione. Se Francia e altri partner vogliono davvero un’intesa, rinuncino alla coercizione”.
Il nodo resta sempre lo stesso: il Piano d’Azione Congiunto Globale (JCPOA) firmato dieci anni fa, da cui gli Stati Uniti sono usciti unilateralmente nel 2018 sotto la prima amministrazione Trump. Da allora, l’Iran ha progressivamente violato i limiti imposti all’arricchimento e alle riserve di uranio, avvicinandosi a soglie tecnicamente compatibili con un ordigno atomico. Tutti gli altri firmatari – compresi Russia e Cina – restano formalmente nel trattato, ma l’impianto dell’accordo è ormai logoro.
Proprio per questo, il presidente statunitense Donald Trump ha fatto sapere domenica di essere “molto ottimista” sull’esito del negoziato: “Credo che l’intesa si farà. Ne sono abbastanza sicuro”, ha detto ai giornalisti.
Non altrettanto rassicurante è la posizione israeliana. Il premier Benjamin Netanyahu, intervenendo alla conferenza del Jewish News Syndicate a Gerusalemme, ha ribadito che Teheran va privata completamente della capacità di arricchire uranio. “Un accordo serio – ha detto – è solo quello che smantella l’intera infrastruttura nucleare iraniana”.
Secondo quanto riferito da fonti iraniane, Araghchi sarebbe pronto a recarsi personalmente a Berlino, Parigi e Londra “per verificare la reale disponibilità europea a una soluzione diplomatica”. Ma lo spettro del meccanismo “snapback”, che potrebbe far scattare automaticamente le sanzioni ONU in caso di inadempienze, pesa come una spada di Damocle. L’opzione resterà valida solo fino a ottobre.