Dopo mesi di negoziati, Stati Uniti e Ucraina hanno sottoscritto mercoledì un accordo per lo sfruttamento congiunto delle risorse minerarie e naturali strategiche del Paese est-europeo. Ad annunciarlo è stata nel pomeriggio statunitense la ministra dell’Economia ucraina Yulia Svyrydenko.
“Sono grata a tutti coloro che hanno lavorato per l’accordo e lo hanno reso più solido. Ora il documento è tale da garantire il successo di entrambi i nostri Paesi”, ha dichiarato su Facebook Svyrydenko – che è anche prima vicepremier.
Secondo Bloomberg, l’accordo riserva agli Stati Uniti un diritto di prelazione su futuri progetti di investimento legati alle risorse naturali ucraine, tra cui alluminio, grafite, petrolio e gas naturale. L’intesa prevede inoltre una struttura di investimento paritetica, al 50%, tra Washington e Kyiv, i cui utili verranno reinvestiti in progetti di ricostruzione post-bellica e sviluppo per i prossimi dieci anni.
L’Ucraina ha ottenuto che venisse omesso ogni riferimento al debito contratto da Kyiv per l’assistenza militare e finanziaria ricevuta da parte statunitense. Scartata dunque la posizione inizialmente sostenuta da Donald Trump, che aveva più volte affermato che l’accordo dovesse rappresentare un parziale rimborso per gli oltre 100 miliardi di dollari stanziati da Washington dall’inizio dell’invasione russa nel 2022 (secondo una stima del Kiel Institute, la cifra reale si attesterebbe intorno ai 119,7 miliardi di dollari).
“L’accordo segnala chiaramente alla Russia che l’amministrazione Trump è impegnata in un processo di pace incentrato su un’Ucraina libera, sovrana e prospera nel lungo periodo”, ha commentato il segretario al Tesoro USA Bessent in un comunicato stampa. Il ministro dell’Economia di Trump ha aggiunto che nessuno “Stato o persona che ha finanziato o fornito la macchina da guerra russa” potrà trarre profitto dalla ricostruzione dell’Ucraina.
La versione finale dell’accordo — secondo quanto dichiarato mercoledì dal premier Denys Shmyhal — esclude qualunque cessione immediata di impianti, porti o asset strategici come la rete di gasdotti. Il fondo sarà cofinanziato e co-gestito da entrambi i governi, ma i diritti sulle risorse naturali resteranno in capo allo Stato ucraino, che manterrà il controllo dei giacimenti e rilascerà soltanto licenze e permessi speciali per l’uso del sottosuolo.
L’intesa, discussa per mesi, sembrava prossima alla firma già lo scorso febbraio, ma il processo si era interrotto bruscamente dopo un acceso confronto pubblico alla Casa Bianca tra Volodymyr Zelensky, Donald Trump e il vicepresidente USA J.D. Vance. Parte dell’acrimonia era dovuta al categorico rifiuto statunitense di fornire formali garanzie di sicurezza all’alleato, che invece Zelensky aveva posto come prerequisito per la firma (nella versione finale non se ne fa menzione).
Stavolta, invece, è arrivata per davvero. Il testo sottoscritto mercoledì dovrà essere ratificato nei prossimi giorni dal Parlamento unicamerale di Kyiv. Insieme ad esso verranno votati altri due documenti tecnici, uno per la costituzione del fondo e uno per definirne il meccanismo di finanziamento.
Fonti ucraine fanno sapere che l’accordo è stato concepito per non ostacolare né il percorso di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, né gli impegni assunti con le istituzioni finanziarie internazionali. Un nodo centrale nei negoziati era infatti proprio la compatibilità dell’intesa con il partenariato sulle materie prime firmato da Kyiv e Bruxelles nel 2021 che mirava a rafforzare la cooperazione nell’estrazione, raffinazione e lavorazione delle materie prime critiche ucraine.
Trump, intervenuto mercoledì durante il consiglio dei ministri, ha ribadito l’interesse degli Stati Uniti per i minerali strategici ucraini: “Abbiamo bisogno di terre rare, loro ne hanno molte. È un buon accordo per tutti”. Il repubblicano ha specificato di non voler “un accordo troppo complicato perché l’Ucraina non ha molti soldi”, chiosando però che “grazie a questo accordo i soldi americani sono al sicuro”.
Sulla carta, l’intesa con l’Ucraina serve agli Stati Uniti per ridurre la propria dipendenza dalla Cina, che detiene oltre il 75% del mercato globale delle terre rare. Eppure, secondo la maggioranza degli esperti, potrebbero volerci decenni tra studi geologici e maxi-investimenti infrastrutturali prima che si inizi concretamente a scavare.