Con un colpo di spugna sulla lavagna della scienza, quasi quattrocento ricercatori americani sono stati informati attraverso una e-mail che il loro contributo non era più necessario. Un messaggio sterile, recapitato nel pomeriggio di lunedì, ha messo fine al lavoro che stavano svolgendo per uno dei documenti più cruciali della politica ambientale statunitense.
L’amministrazione Trump ha deciso di interrompere la collaborazione con centinaia di esperti che contribuivano alla valutazione quadriennale del National Climate Assessment, il principale rapporto del governo sugli impatti, i rischi e le risposte ai cambiamenti climatici nel paese, commissionata dal Congresso. La sesta edizione del resoconto, prevista per il 2027, è in fase di preparazione da mesi, ma ora si trova orfana delle competenze scientifiche che ne avevano costituito l’ossatura.
A comunicare la decisione è stato il vicedirettore del Global Change Research Program, l’ufficio federale incaricato di coordinare il documento, che dopo aver ringraziato gli scienziati per il loro impegno ha annunciato contestualmente la loro rimozione dal progetto. Secondo quanto riferito, la portata della valutazione sarebbe in fase di revisione, con l’intento dichiarato di rispettare comunque gli obblighi di legge.
La comunità scientifica, però, solleva forti preoccupazioni: senza il supporto di esperti indipendenti, molti dei quali lavoravano su base volontaria, il rischio è che la valutazione perda solidità metodologica e credibilità internazionale. Steven Hamburg Il responsabile scientifico di Environmental Defense Fund, una delle principali organizzazioni ambientaliste non profit degli Stati Uniti, ha sottolineato come negare l’evidenza del cambiamento climatico non serva ad annullarne gli effetti, né a proteggere il paese da eventi estremi sempre più frequenti come tempeste, incendi e siccità.
La decisione appare allineata alle linee guida di Project 2025, un piano strategico promosso dalla conservatrice Heritage Foundation, che mira a ridimensionare il ruolo delle burocrazie federali e a includere nel rapporto visioni più eterogenee, anche quelle che mettono in dubbio la realtà dei mutamenti climatici. Alcuni segnali erano già visibili: nelle settimane precedenti, erano stati licenziati numerosi dipendenti federali del programma di ricerca USGCRP e annullato il contratto per l’esternalizzazione dei lavori editoriali legati al NCA.
Tra i ricercatori colpiti dalla nuova politica, prevale un misto di delusione e rassegnazione. Secondo Robert Kopp, climatologo della Rutgers University, in New Jersey, era ormai chiaro da tempo che si stesse andando verso questa direzione, soprattutto dopo il taglio del personale di sostegno. Ha aggiunto che molti autori speravano comunque in una nuova edizione del rendiconto fondata su basi scientifiche solide.
Resta incerta la possibilità di pubblicare un NCA alternativo, autonomo rispetto al governo federale. Kopp ha evidenziato che sarebbe necessario un importante sforzo di finanziamento indipendente, considerando le risorse, il tempo e l’energia richiesti per coordinare il lavoro di centinaia di scienziati.
Mijin Cha, professore di sostenibilità ambientale all’Università della California, ha affermato che la mancata pubblicazione di una valutazione scientificamente rigorosa segnerebbe un grave arretramento per la leadership statunitense nella ricerca. Ha inoltre espresso timori circa la possibilità che l’amministrazione repubblicana rediga un rapporto parallelo, affidandone la stesura a figure non qualificate o apertamente negazioniste.
Il Global Change Research Act del 1990 impone comunque al governo di produrre una valutazione entro la fine del 2027. Resta però una grande incognita: il documento finale rifletterà davvero le esigenze scientifiche o sarà influenzato da considerazioni politiche?