È bastata un’indiscrezione a scatenare l’ira funesta della Casa Bianca. Quella secondo cui Amazon starebbe valutando di mostrare ai clienti, accanto al prezzo finale dei prodotti online, anche l’incidenza dei dazi imposti dall’amministrazione Trump dopo il cosiddetto “Giorno della Liberazione”. Un’ipotesi, lanciata nelle scorse ore da Punchbowl News, che l’amministrazione Trump non ha perso tempo nel contestare apertamente.
“È un atto ostile e politico”, ha dichiarato martedì la portavoce Karoline Leavitt durante una conferenza stampa a Washington accanto al segretario al Tesoro Scott Bessent. “Perché Amazon non l’ha fatto quando l’inflazione, con Biden, aveva raggiunto i massimi da quarant’anni?” ha attaccato la funzionaria repubblicana, aggiungendo di aver parlato poco prima al telefono con lo stesso Trump sulla vicenda, prima che il presidente – secondo le indiscrezioni – alzasse la cornetta per dialogare direttamente con Jeff Bezos.
A far discutere è soprattutto la possibilità che venga reso esplicito, nel dettaglio, quanto del prezzo finale sia dovuto ai dazi introdotti dalla Casa Bianca – che, secondo l’esecutivo, rischia di trasformarsi in una critica indiretta alla politica tariffaria della nuova amministrazione.
Amazon si è affrettata a smentire l’indiscrezione nel giro di poche ore. “Un team che lavora a Haul – la nostra sezione a basso costo che compete con Temu – aveva considerato l’ipotesi di mostrare alcune tariffe d’importazione su prodotti selezionati,” ha spiegato il portavoce del colosso dell’e-commerce, Tim Doyle. “Ma non è mai stato preso in considerazione per il sito principale, né è stato attivato su nessuna piattaforma Amazon”. In una seconda nota, l’azienda ha ribadito che “non è mai stato approvato nulla e non accadrà”.
All’apertura di Wall Street, martedì, il titolo di Amazon è arrivato a perdere quasi il 2%, appesantito proprio dalle dichiarazioni della Casa Bianca – salvo poi tornare di poco sotto la parità.
Lo scontro si inserisce in un contesto già teso tra Trump e Bezos – quest’ultimo anche in veste di proprietario del Washington Post, tradizionalmente associato all’ala democratica più moderata. Dopo anni di ostilità più o meno aperta, i rapporti si erano temporaneamente distesi proprio in coincidenza con la campagna elettorale del 2024. Dopo l’attentato subito da Trump durante un comizio in Pennsylvania, Bezos aveva elogiato il “coraggio notevole” dell’allora candidato repubblicano e si era detto disponibile a collaborare su riforme fiscali e deregolamentazione – venendo inoltre criticato per aver “censurato” un endorsement del Post a favore di Kamala Harris pochi giorni prima del voto.
La strategia tariffaria inaugurata dalla Casa Bianca lo scorso 2 aprile prevede un dazio del 10% su praticamente tutte le merci importate dall’estero e una tariffa del 145% su una serie di prodotti provenienti dalla Cina. Una seconda raffica di aumenti è prevista per luglio, salvo accordi bilaterali. Al momento, ha spiegato Bessent, tra i 15 e i 17 Paesi sarebbero in trattativa con gli Stati Uniti per ottenere esenzioni.
Tra questi non c’è la Cina, che Bessent ha esplicitamente esortato a “fare il primo passo” per smorzare l’escalation commerciale. “Vedremo dove andrà a parare”, ha dichiarato in un’intervista alla CNBC. “Come ho ripetuto più volte, credo che spetti alla Cina smorzare i toni, perché loro vendono a noi cinque volte di più di quanto noi vendiamo a loro, quindi queste tariffe del 125% sono insostenibili”.
Intanto i grandi distributori – e, di riflesso, i consumatori – stanno già iniziando a pagare le conseguenze. Temu ad esempio ha iniziato a separare le voci di spesa e a indicare il costo delle tariffe doganali nei singoli ordini. Secondo il direttore del porto di Los Angeles, Gene Seroka, “molte aziende hanno sospeso gli ordini dalla Cina. Nessuno è disposto a pagare due volte e mezzo il valore dei beni, almeno finché non si chiarirà il quadro”.
Anche i vertici di Walmart, Target e Home Depot – riferisce Axios – avrebbero sollecitato Trump a rivedere la politica tariffaria, avvertendo del rischio concreto di aumenti sui prezzi al consumo e scaffali vuoti nei prossimi mesi.
Bessent ha definito le mosse del presidente come parte di una efficiente strategia negoziale: “Trump crea una incertezza strategica per forzare condizioni migliori negli accordi commerciali”, ha spiegato il capo-economista della Casa Bianca, pur ammettendo che alcuni imprenditori hanno rallentato nuovi investimenti. “Ma la legge fiscale che vogliamo approvare quest’estate darà certezze – ha aggiunto – e incentivi concreti per costruire impianti e comprare macchinari in America.”
La bozza del provvedimento prevede detrazioni per le aziende che investono in produzione interna, e un’esenzione totale da imposte per le mance, gli straordinari e le rate di auto americane. Trump, in campagna elettorale, ha promesso anche la fine della tassazione sulla previdenza sociale. La partita, però, è ancora tutta da giocare.