Operatrici umanitarie incinte dell’USAID, l’agenzia statunitense che si occupa di aiuti allo sviluppo e assistenza umanitaria all’estero, licenziate dall’agenzia federale DOGE, chiedono compassione all’amministrazione Trump. Le famiglie in attesa di un bambino denunciano che il provvedimento contraddice gli appelli della stessa amministrazione ad aumentare il tasso di natalità. I licenziamenti sono stati fissati tra il 1° luglio e il 2 settembre, e i lavoratori affermano di aver ricevuto scarse risposte ai tentativi di posticiparne l’effettiva esecuzione.
Le conseguenze rischiano di essere gravi: molte dipendenti federali dell’USAID, comprese coloro che lavorano o hanno coniugi impiegati all’estero, si ritroveranno improvvisamente senza congedo parentale, senza copertura sanitaria e senza il reddito su cui contavano durante la maternità.
Secondo quanto riportato dal Washington Post, una delle dipendenti ha dichiarato: “Sto quasi sperando di partorire prematuramente, così almeno avrei ancora la copertura assicurativa dopo il parto”. La donna vive all’estero, e la nascita del figlio è prevista a pochi giorni dalla data di licenziamento del marito. “Anche se nascesse prematuro, almeno riceverebbe l’assistenza necessaria prima che la mia assicurazione venga sospesa”.
Molti lavoratori dell’agenzia non hanno una casa negli Stati Uniti, né coniugi con redditi indipendenti, e fanno affidamento sui benefici legati al loro impiego, tra cui alloggio e sanità. Il Segretario di Stato Marco Rubio, lo scorso febbraio, aveva assicurato ai diplomatici che l’agenzia avrebbe valutato misure di sostegno per i dipendenti in situazioni vulnerabili, come la gravidanza. Tuttavia, ad oggi, non si è tradotto in azioni concrete.
Le famiglie colpite parlano di un lungo periodo di incertezza, confusione e stress. In alcune donne, la pressione psicologica è stata tale da mettere a rischio la gravidanza o da far nascere dubbi profondi sulla scelta stessa di diventare madri.