Quella tra Harvard e l’amministrazione Trump non è una semplice disputa: ma il fronte di uno scontro ideologico.
Nonostante la causa legale intentata dall’istituzione contro il governo federale, il Presidente americano si è mostrato disposto a negoziare, cercando di riaprire un dialogo con l’ateneo in almeno tre occasioni, secondo fonti interne. Ma da Cambridge è arrivata una ferma risposta: nessuna apertura, almeno per ora. I contatti, informali, non hanno sortito effetti, e il rischio è che la controversia si trascini per anni fino ad arrivare alla Corte Suprema.
Tutto è iniziato con una lettera, inviata lo scorso marzo dal leader del GOP, che accusava l’ateneo di non aver fatto abbastanza per contrastare l’antisemitismo. Ma per Harvard, il vero obiettivo dell’esecutivo è un altro: ottenere il controllo politico dell’università attraverso la minaccia della leva finanziaria. Secondo i legali della storica scuola, i tagli a oltre due miliardi di dollari in fondi fanno parte di una “campagna di pressione” senza precedenti.
Il presidente Alan Garber ha respinto con decisione le richieste della Casa Bianca, accusando Trump di voler “controllare la comunità di Harvard” e promettendo che l’ateneo non cederà “né la sua indipendenza né i suoi diritti costituzionali”. In una missiva firmata da oltre 100 leader accademici, viene condannata all’unanimità “l’intrusione politica” nei campus universitari e viene lanciato l’allarme sulle “gravi e durature conseguenze” che tale interferenza potrebbe comportare.
Nonostante le critiche, la White House insiste nel giustificare le decisioni adottate. Il segretario all’Istruzione Linda McMahon ha dichiarato che le misure non sono violazioni del Primo Emendamento, bensì interventi mirati a garantire un ambiente sicuro per tutti gli studenti. Tuttavia, l’elenco di richieste inviate al campus, dall’eliminazione dei programmi di diversità alla riforma delle ammissioni, fa pensare a un progetto più ampio di ridefinizione del sistema universitario.
Il contrasto è anche simbolico. L’istituzione è vista come roccaforte liberal e intellettuale, e i politici in carica attraverso una retorica che mescola l’ideologia alla guerra per la “cultura woke” punta a ridimensionarne il ruolo e l’influenza. In questo contesto la sospensione dei fondi non è solo una multa, ma un messaggio: chi non si allinea, dovrà pagare un prezzo.
Nel frattempo, le decurtazioni rischiano di rallentare progetti cruciali, dalla ricerca sul cancro infantile alle epidemie. Harvard, che possiede una delle più grandi dotazioni finanziare del mondo, potrebbe resistere per un po’, ma la battaglia legale preannuncia che il danno economico potrà essere duraturo, e non limitato.
L’esito della disputa che rischia di coinvolgere giudici con legami con l’università non sarà solo giuridico. Sarà anche culturale e politico, con implicazioni per l’intero sistema accademico americano. E come sottolineato dal professore emerito Laurence Tribe, questa battaglia potrebbe ispirare altre istituzioni a resistere. “Quando vinceremo”, ha dichiarato, “si renderanno conto che cedere non porta da nessuna parte”.