Martedì, una giuria federale si è pronunciata contro Sarah Palin, ex governatrice dell’Alaska e candidata repubblicana alla vicepresidenza, nella sua causa per diffamazione intentata anni fa contro il New York Times. La Palin ha portato in tribunale lo storico quotidiano statunitense dopo che il giornale aveva pubblicato un editoriale che insinuava erroneamente che avesse istigato una sparatoria avvenuta anni prima in Arizona.
Il Times ha poi riconosciuto il proprio errore e si è scusato con la politica del GOP: ciò, però, non è bastato ad evitare la disputa legale. Già nel 2022, un giudice si pronunciò a favore del quotidiano newyorkese. Ma l’anno scorso, una corte d’appello federale ha invalidato quelle decisioni, preparando il terreno per il nuovo processo di questo mese.
Al momento, non è chiaro se il verdetto segnerà la fine di una causa durata otto anni o se gli avvocati della Palin presenteranno nuovamente ricorso. “Non abbiamo ancora parlato di cosa faremo ora dal punto di vista legale”, ha affermato la stessa Palin, una volta uscita dall’aula di tribunale.
“La decisione ribadisce un importante principio del diritto americano: gli editori non sono responsabili per errori commessi in buona fede”, ha invece ribadito Danielle Rhoades Ha, portavoce del Times. L’articolo del Times, risalente al 2017, associava erroneamente una sparatoria di massa avvenuta nel 2011 a Tucson, in Arizona, nella quale era rimasta gravemente ferita la rappresentante Gabrielle Giffords, ad una mappa che il comitato d’azione politica della signora Palin aveva creato ponendo il mirino di un fucile sui distretti congressuali democratici, tra cui quello della stessa Giffords.
Durante il processo, la signora Palin ha dichiarato alla giuria che l’editoriale le aveva “tolto la grinta”, danneggiando la sua reputazione. Ha inoltre spiegato che il Times non si è scusato personalmente con lei e che la correzione pubblicata fosse insufficiente perché non nominava né lei né il suo comitato di azione politica.
Da canto suo, invece, James Bennet, che all’epoca era responsabile della sezione opinioni del Times, ha testimoniato di essere stato responsabile dell’inserimento dell’affermazione errata nell’editoriale durante la riscrittura di una bozza. Ha detto di aver commesso un errore e di aver agito rapidamente per correggerlo quando gli è stato fatto notare.
Gli avvocati del Times hanno affermato che il signor Bennet aveva commesso uno sbaglio in buona fede, che era stato prontamente corretto meno di 24 ore dopo.
La vittoria del giornali in tribunale arriva in un momento alquanto complesso per i media statunitensi, alle prese con i continui attacchi provenienti dal mondo politico.