La Commissione europea ha lanciato un messaggio chiaro ai giganti del digitale. Con la doppia sanzione inflitta a Apple e Meta – rispettivamente di 500 e 200 milioni di euro – l’Unione Europea apre una nuova fase del rapporto tra le Istituzioni comunitarie e le grandi piattaforme tecnologiche statunitensi. Si tratta dell’avvio di un confronto politico e culturale destinato a ridefinire i confini della sovranità digitale nel Vecchio Continente.
Le misure si inseriscono nell’ambito del Digital Markets Act (DMA), la normativa europea entrata in vigore nel 2024 e concepita per contrastare le pratiche sleali e prevenire l’abuso di posizione dominante delle grandi piattaforme digitali, i cosiddetti “gatekeeper”.
Sebbene le sanzioni comminate rappresentino solo una frazione delle multe massime previste dal regolamento comunitario – che possono raggiungere il 20% del fatturato globale dell’azienda – sono un segnale della forte determinazione di Bruxelles ad affermare la propria autorità regolatoria.
Il DMA impone obblighi stringenti con l’obiettivo di riequilibrare il contesto concorrenziale, rafforzare la tutela dei consumatori e favorire l’innovazione nel panorama europeo.
Secondo quanto emerso dall’indagine della Commissione, le due società avrebbero aggirato alcuni obblighi previsti dal regolamento, compromettendo la libertà di scelta degli utenti e ostacolando l’attività dei concorrenti più piccoli.
Nel merito, le accuse nei confronti del colosso di Cupertino, sono tutt’altro che marginali. La Commissione contesta ad Apple di aver imposto restrizioni tali da impedire agli sviluppatori di informare gli utenti su offerte alternative, potenzialmente più vantaggiose, disponibili al di fuori dell’App Store. Un comportamento che viola uno dei principi fondanti della normativa: garantire una concorrenza leale e trasparente. Non solo. L’azienda non sarebbe riuscita a dimostrare che tali limitazioni fossero giustificate da motivi tecnici, né proporzionate rispetto agli obiettivi dichiarati. Di conseguenza, l’esecutivo comunitario ha ordinato ad Apple la rimozione di qualsiasi ostacolo, tecnico o commerciale, che possa limitare la libertà degli sviluppatori. E ha avvertito che comportamenti analoghi non saranno più tollerati.
Meta, da parte sua, è stata sanzionata a causa del modello “pay or consent” introdotto nel 2023 su Facebook e Instagram. Il sistema obbliga gli utenti a scegliere tra due alternative: accettare il trattamento dei propri dati personali per ricevere pubblicità personalizzata oppure sottoscrivere un abbonamento mensile per accedere ai servizi senza annunci.
Secondo la Commissione, la pressione esercitata sugli utenti è indebita: si tratta di un vincolo che induce a cedere i propri dati personali per continuare a utilizzare gratuitamente i servizi. Un comportamento che non rispetta i principi del Digital Markets Act.
Non si sono fatte attendere le reazioni di Apple e Meta. E, come prevedibile, non sono state concilianti. Entrambe le aziende contestano non solo il merito ma anche il metodo, accusando la Commissione di mancanza di trasparenza e atteggiamento punitivo. Apple ha annunciato che presenterà ricorso, definendo la decisione “l’ennesimo esempio di come la Commissione abbia ingiustamente preso di mira Apple”. L’azienda californiana lamenta inoltre che, “nonostante i numerosi incontri, le autorità europee continuano a spostare i paletti”, rendendo impossibile una pianificazione rispettosa della normativa.
Ancora più esplicita la posizione di Meta. Joel Kaplan, vice presidente, ha dichiarato: “Non si tratta solo di una multa; il fatto che la Commissione ci costringa a cambiare il nostro modello di business equivale, di fatto, a imporre un dazio da miliardi di dollari”. Parole che rievocano la retorica del presidente Donald Trump che ha già minacciato di reagire con ulteriori dazi se l’UE dovesse sanzionare le grandi aziende tecnologiche americane.
Il confronto si inserisce in un contesto già segnato da una progressiva erosione della fiducia nei rapporti tra le due sponde dell’Atlantico. La decisione degli Stati Uniti di introdurre dazi su alcuni beni europei, al momento sospesi, ha riacceso le frizioni commerciali.
La risposta dell’Unione Europea sulle Big Tech rischia di essere percepita come una possibile ritorsione, alimentando un clima di sospetto reciproco.
Ora i due colossi americani hanno 60 giorni per conformarsi alle decisioni di Bruxelles. Entro tale termine, l’esecutivo europeo dovrà valutare se le aziende hanno fatto abbastanza per conformarsi al DMA oppure imporre sanzioni periodiche, previste in caso di inadempienza. Un portavoce della Commissione ha precisato che l’entità delle multe è stata stabilita sulla base della gravità e della durata delle violazioni. Tuttavia, trattandosi di normativa recente, il parametro temporale non è stato applicato in maniera rigida, segno di un approccio cauto. Una scelta che gli analisti leggono come un tentativo di non compromettere ulteriormente i rapporti.
Nel frattempo, sui tavoli di Bruxelles resta aperto un dossier ancora più delicato: quello relativo a X (ex Twitter), la piattaforma di proprietà di Elon Musk. Dal dicembre 2023, la società è oggetto di un’indagine nell’ambito del Digital Services Act, la seconda grande cornice normativa europea destinata a regolamentare il comportamento delle piattaforme online in termini di responsabilità e trasparenza. Al centro dell’inchiesta, i dubbi delle autorità europee circa il rispetto degli obblighi legati alla trasparenza pubblicitaria, alla prevenzione della disinformazione e alla mitigazione dei rischi legati alla manipolazione dell’opinione pubblica.
L’indagine su X promette di diventare un nuovo terreno di scontro, in un panorama in cui l’Europa sembra decisa a rivendicare il proprio ruolo di regolatore globale del digitale. Una strategia che non esclude confronti accesi con i colossi americani dell’innovazione.