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Bessent calma le ossessioni di Trump sui dazi

Nel furioso scontro con Musk alla Casa Bianca, il capo di Tesla costretto a cedere

Massimo JausbyMassimo Jaus
Trump Delays Tariff Rollout for Most Nations, Imposes 125% Levy on China

U.S. Secretary of the Treasury Scott Bessent and White House Press Secretary Karoline Leavitt speak to the news media about the latest tariff announcement from President Donald Trump, at the White House, in Washington, D.C., U.S. April 9, 2025. REUTERS/Leah Millis

Time: 4 mins read

“La Cina deve cambiare”, afferma il segretario al Tesoro Scot Bessent nel suo intervento all’Institute of International Finance, l’associazione che rappresenta la finanza globale della quale fanno parte più di 400 banche di 70 Paesi la cui sede è a Washington. Ma chi improvvisamente cambia tono, sono gli Stati Uniti. Messi da parte i toni bellicosi e le minacce, la Casa Bianca si rende conto che la visione assolutista di America First “non vuol dire America da sola” ha precisato Bessent nel suo intervento, tenuto a margine delle riunioni primaverili del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca mondiale.

Il segretario al Tesoro sembra l’unico della cerchia ristretta del presidente che abbia una agenda chiara e lineare sul futuro dell’economia americana, forzando il presidente a fare marcia indietro non solo sui dazi, ma anche a mantenere Powell alla direzione della Fed e a mettere da parte Elon Musk e il suo DOGE.

Il segretario al Tesoro con toni concilianti ha sostenuto davanti alla platea composta dai CEO delle maggiori banche commerciali e d’investimento, gestori patrimoniali, compagnie assicurative, fondi sovrani e banche centrali, che le politiche commerciali di alcuni Paesi stranieri hanno danneggiato la manifattura statunitense e ostacolato le catene di approvvigionamento, mettendo a rischio la sicurezza nazionale ed economica degli Stati Uniti. “Lo status quo attuale, caratterizzando da squilibri persistenti, non è sostenibile per noi e neanche per le altre economie”, ha aggiunto affermando poi “di vedere l’opportunità per un grande accordo con la Cina”.

La Casa Bianca parla di “de-escalation” del contenzioso, ma in realtà si tratta di una repentina ritirata dopo il bellicoso scompiglio creato nei mercati mondiali e dopo la riduzione delle stime di crescita del prodotto interno mondiale fatte dal Fondo Monetario. La “politica d’urto” lanciata dalla Casa Bianca si sta rivelando un boomerang per gli Stati Uniti che, improvvisamente, scoprono che senza poter aumentare immediatamente la produzione interna e imponendo i dazi, i prezzi andranno alle stelle. La politica dell’autarchia potrebbe funzionare se all’interno del Paese ci sono le strutture per far fronte alla richiesta del mercato, ma se le strutture debbono essere costruite, allungando così i tempi per mettere i prodotti sul mercato, i prezzi inevitabilmente cresceranno.

Ieri sera dopo una riunione alla Casa Bianca, il presidente Trump aveva detto che i dazi imposti sui prodotti cinesi “scenderanno sostanzialmente, ma non saranno pari a zero”. Ripetendo poi questa mattina ai giornalisti che le discussioni con Pechino per arrivare a un accordo commerciale e mettere fine alla guerra dei dazi, “stanno andando molto bene. Avremo un accordo equo con la Cina”, ha affermato il presidente.

Secondo Axios le pressioni del segretario al Tesoro e dei big di Wall Street hanno spinto Donald Trump a cambiare i toni sia sui dazi così come per i suoi attacchi al capo della Fed, Jerome Powell, che peggiorano la già difficile situazione. Secondo Axios in un incontro avvenuto ieri pomeriggio alla Casa Bianca i leader delle tre principali catene di megastore – Home Depot, Target e Walmart – hanno spiegato al presidente che la sua decisione sui dazi fa aumentare i prezzi e svuotare gli scaffali. “I tre Ceo – scrive Axios – sono stati molto chiari affermando che i prezzi ancora non sono saliti, ma aumenteranno quanto prima, forse nel giro di un paio di settimane”.

Axios riporta pure dell’acceso diverbio che sarebbe avvenuto alla Casa Bianca tra Scott Bessent Elon Musk che secondo alcuni testimoni stavano per prendersi a pugni.

Da qui la decisione di Trump di cambiare i toni. E non solo sulle tariffe perché la “politica d’urto” del presidente prevedeva pure la riduzione degli sprechi dei fondi federali e per questo aveva chiamato Elon Musk, il CEO della Tesla (che ha donato centinaia di milioni di dollari nella sua campagna elettorale) a portare alla luce la malagestione dell’amministrazione pubblica delle precedenti amministrazioni creando il Department of Government Efficiency, il Doge, che in quasi 100 giorni di indagini ha fatto solo tagli di personale nelle agenzie federali, ma finora delle grandi truffe ai danni dello Stato che avrebbe dovuto scoprire non è saltato fuori nulla.

Ieri sera Elon Musk, dopo il crollo dei profitti della sua azienda, ha dichiarato che ridurrà il suo ruolo nell’amministrazione Trump dal mese prossimo. Martedì Tesla ha segnalato un calo del 20% dei ricavi nel primo trimestre del 2025, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre gli utili sono scesi di oltre il 70%.

Il litigio tra Musk e Bessent c’è stato per la nomina di Gary Shapley, ex investigatore dell’Irs, l’ufficio delle Entrate, che ha testimoniato al Congresso accusando il dipartimento della Giustizia di avere rallentato di proposito le indagini su Hunter Biden, per guidare l’agenzia. Bessent ha contestato aspramente questa nomina, voluta da Musk senza informarlo e accettata in un primo momento da Trump, che confrontato da Bessent per non essere stato consultato ha convinto il presidente a fare marcia indietro, sostituendo Shapley con il vice segretario al Tesoro, Michael Faulkender. Nella discussione i toni si sono alzati e Musk e Bessent, dopo vari insulti, stavano per venire alle mani quando sono stati separati.

La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha affermando che Trump “ha messo insieme una squadra che sente molto i problemi che interessano il nostro Paese. Non essere d’accordo – ha continuato – è normale all’interno di un processo politico sano”.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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