Negli Stati Uniti, il carbone torna al centro del dibattito politico. Il presidente Donald Trump non ha mai fatto mistero del suo sostegno all’industria mineraria, simbolo di identità e sostentamento per intere comunità degli Appalachi. Eppure, mentre promette una rinascita del settore, un’intera rete di protezione per i lavoratori sta crollando fra l’indifferenza generale.
Dietro le quinte dell’orgoglio industriale, c’è un dramma poco conosciuto. Centinaia di dipendenti del National Institute for Occupational Safety and Health NIOSH, l’ente federale che si occupa della salute e sicurezza sul lavoro, sono stati licenziati in una massiccia “riduzione della forza” che ha colpito due terzi del personale. Allontanati circa 400 ricercatori specializzati nella sicurezza dei siti estrattivi, dislocati nei centri di Pittsburgh, Morgantown, Spokane e Denver.
Fra questi anche Scott Laney, professionista con quasi vent’anni di servizio all’interno dell’agenzia. È stato tra coloro che hanno contribuito a rivelare un’epidemia di fibrosi massiva progressiva tra i minatori, una forma avanzata di pneumoconiosi, nota anche come “black lung”. Quando è arrivato l’annuncio del congedo, Laney ha raccontato che sia lui che e i suoi colleghi sono rimasti increduli e spaventati: il loro operato, salvava vite umane ogni giorno.
I tagli hanno comportato la chiusura dei programmi di screening gratuiti nelle cave, la fine della formazione medica per la diagnosi precoce, lo stop ai database federali che tracciavano la diffusione delle malattie respiratorie da polveri sottili. Bloccati pure i programmi per la certificazione dei respiratori, strumenti vitali che durante la pandemia di Covid-19 sono stati certificati proprio dal NIOSH.
Anita Wolfe, ex analista di salute pubblica per il servizio di sorveglianza sanitaria dei lavoratori, in un’intervista a Louisville Public Media, un’organizzazione no-profit indipendente, ha lanciato un grido d’allarme. A suo parere, lo smantellamento del piano metterà fine a tutte le attività fondamentali per prevenire e trattare il “polmone nero”, lasciando i minatori senza protezione.
Ha inoltre spiegato che, secondo quanto riportato nelle lettere di licenziamento, i dipendenti sono stati considerati “non più necessari” e i servizi offerti definiti “ridondanti”. Una motivazione che Wolfe ha respinto con fermezza, definendola del tutto infondata e sottolineando che nessun’altra agenzia federale è in grado di svolgere quel tipo di lavoro.
Nelle sue dichiarazioni, ha auspicato un pronto intervento da parte delle istituzioni, spera si rendano conto della gravità della situazione e invertano i tagli. Tuttavia, dalle sue parole emerge una profonda amarezza: una sensazione di totale abbandono, accompagnata dalla paura che nessuno si stia realmente preoccupando del destino di questi cavatori.
Anche la ormai celebre clinica mobile che attraversava ogni anno le aree minerarie per offrire screening personalizzati e gratuiti ai lavoratori si è fermata. Gli strumenti per raccogliere prove e dati epidemiologici sono stati azzerati.
Nel nome di una “ristrutturazione” voluta dall’amministrazione repubblicana, sono state silenziate voci e spenti i mezzi che, per anni, hanno tutelato chi lavora nei luoghi più pericolosi d’America. Una contraddizione feroce: si rilancia l’industria, ma si sacrificano i suoi lavoratori.