Il primo a incontrarlo dopo l’insediamento è stato anche il primo a precipitarsi alla Casa Bianca dopo il terremoto scatenato dai dazi. Il presidente israeliano Benjamin Netanyahu è volato a Washington per trattare con Donald Trump dopo le misure economiche imposte dal leader degli Stati Uniti, che hanno fatto crollare i mercati internazionali.
All’ora di pranzo era stato comunicato che non ci sarebbe stata una conferenza stampa alla fine dei colloqui. Tuttavia i due presidenti, insieme al vice JD Vance, al segretario di Stato Marco Rubio e al segretario della Difesa Pete Hegseth, hanno comunque incontrato la stampa dentro allo Studio Ovale e hanno risposto a qualche domanda.
Israele è stato colpito da dazi del 17%, una mossa inedita dato che gli scambi commerciali con gli Stati Uniti erano protetti dall’accordo di libero scambio in vigore dal 1985. Netanyahu ha rassicurato che lavorerà per eliminare “molto rapidamente” il deficit commerciale da 7,4 miliardi di dollari nella speranza di poter azzerare di nuovo i dazi doganali. Ma non sembra aver convinto il presidente USA: “Forse no. Non dimenticate che aiutiamo molto Israele”.
Sul tavolo dei colloqui, non c’erano soltanto i dazi, ma anche il conflitto nella Striscia di Gaza, che è ripreso come se non ci fosse mai stata una tregua di 40 giorni fra gennaio e febbraio, e la liberazione dei 59 ostaggi israeliani ancora trattenuti da Hamas. Netanyahu ha riferito di aver discusso della possibilità di spostare i palestinesi sfollati dalla Striscia, mentre questa viene “riqualificata”.
In mattinata, in vista dell’incontro con Netanyahu, Trump aveva avuto un colloquio telefonico anche con il presidente francese Emmanuel Macron, quello egiziano Abdel Fattah el-Sissi e il re Abdullah II di Giordania. I tre leader hanno sollecitato il capo della Casa Bianca a garantire un urgente cessate il fuoco per permettere agli aiuti umanitari di entrare nella Striscia in sicurezza.
È questa la strategia (poco) diplomatica di Trump: applicare dazi e sperare che a uno a uno i Paesi capitolino alla Casa Bianca per trattare. Netanyahu è stato il primo. Il leader giapponese Shigeru Ishiba è il secondo. In giornata, ha avuto un colloquio telefonico con Trump da 25 minuti dove lo ha avvertito che il Giappone, il principale investitore negli Stati Uniti, potrebbe cominciare a limitare gli investimenti. Segue poi l’Europa, dove la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha dichiarato che Bruxelles è pronta a eliminare le tariffe industriali su entrambe le sponde dell’Atlantico e che i Ventisette saranno liberi di prendere provvedimenti per salvaguardare i propri interessi. Altri 50 Paesi sarebbero in lista d’attesa per poter parlare con il presidente USA, secondo quanto riferito dal direttore del Consiglio economico nazionale, Kevin Hassett.
La Cina, invece, non sembra disposta a trattare. In mattinata, su Truth Social, Trump aveva rincarato la dose avvertendo che se Pechino non ritirerà la contromisura entro l’8 aprile, la sua amministrazione aumenterà i dazi esistenti del 50% a partire dal 9 aprile. “Inoltre, tutti i colloqui con la Cina riguardanti i loro incontri richiesti con noi saranno interrotti!”, aveva aggiunto il presidente USA. Dall’ambasciata cinese a Washington è arrivata subito la risposta: “Abbiamo sottolineato più di una volta che fare pressione o minacciare la Cina non è un modo corretto di impegnarsi con noi. Salvaguarderemo con fermezza i nostri legittimi diritti e interessi”.