In un’America divisa e segnata dalla fine della tutela federale del diritto all’aborto, emerge una vicenda che solleva interrogativi profondi e inquietanti. Una donna in Georgia è stata arrestata in seguito a un aborto spontaneo. Quanto accaduto a Selena Maria Chandler-Scott, è ora al centro di un caso che sta scuotendo l’opinione pubblica.
Era il 20 marzo quando i soccorsi sono intervenuti in un appartamento, situato in una zona rurale. e hanno trovato la giovane incosciente e sanguinante. Ricoverata d’urgenza è stata poi accusata di aver nascosto la morte di un neonato, dopo che un testimone aveva riferito di averla vista mentre ne occultava i resti in un cassonetto. Gli addebiti si sono però rivelati infondati: un’autopsia eseguita sul feto ha stabilito che non era vitale al momento del parto e che si era trattato di un’interruzione naturale, avvenuta attorno alla diciannovesima settimana.
Quanto accaduto a Chandler-Scott, tuttavia, non è stato un episodio isolato ma un fenomeno sempre più preoccupante che porta alla criminalizzazione della gravidanza. Secondo esperti e attivisti, si tratta di un trend in crescita dopo la sentenza Dobbs del 2022, che ha cancellato la storica protezione garantita da Roe v. Wade.
Le imputazioni riguardanti la vicenda si erano basate sul LIFE Act, una legge statale che attribuisce personalità giuridica al feto dal momento in cui viene rilevato il battito cardiaco, ossia intorno alla sesta settimana.
Jill Wieber Lens, docente di diritto all’Università dell’Iowa e specializzata in diritto riproduttivo, ha illustrato attraverso una ricerca che una percentuale significativa di “dolce attese”, tra il 10 e il 20%, si conclude spontaneamente nei primi mesi. Ha inoltre osservato che, se i residui biologici di un aborto vengono legalmente equiparati a un “cadavere”, molte donne potrebbero essere penalmente perseguite solo per il modo in cui decidono di smaltirli.
Il caso richiama altri episodi analoghi, come quello di Brittany Watts, accusata nel 2023 in Ohio di aver mal gestito un’interruzione spontaneo. Seppure la donna sia stata poi assolta, ha definito l’intera esperienza come traumatica e ha espresso il timore che situazioni simili possano ripetersi.
Il gruppo per i diritti riproduttivi Pregnancy Justice, ritiene che almeno 210 gestanti, nel primo anno d’esordio della sentenza Dobbs, siano state incriminate con una maggiore incidenza a carico di afroamericane, svantaggiate, o con problemi di dipendenza.
Monica Simpson, direttrice di SisterSong, un’associazione per la giustizia riproduttiva con sede ad Atlanta, ha accusato stati come la Georgia di voler gravemente minare la salute e i diritti delle gravide. Ha voluto sottolineare anche il caso di Amber Thurman, deceduta dopo essere stata costretta ad attendere per ore un intervento che avrebbe potuto salvarle la vita.
In un contesto in cui la salute riproduttiva viene sempre più subordinata alla logica punitiva, la storia di Selena Chandler-Scott è un campanello d’allarme. Seppure per lei l’incubo si sia concluso senza una condanna formale, il processo più profondo, quello che coinvolge l’opinione pubblica e le istituzioni, è appena agli inizi.