Doveva essere un lavoro da sogno: volare con VIP, squadre sportive, musicisti. Invece, per molti assistenti di volo assunti da GlobalX — compagnia che opera la maggior parte dei voli di deportazione per conto di ICE (Immigration and Customs Enforcement) l’agenzia del Dipartimento della Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti (DHS), responsabile per l’applicazione delle leggi sull’immigrazione e per la dogana — è diventato un incubo morale. Un lungo reportage di ProPublica racconta il lato invisibile e disumanizzante di questi voli: migranti in catene, regole per gli assistenti di volo che vietano perfino di salutarli, protocolli di emergenza mai chiariti in voli affollati da persone in catene, spesso senza precedenti penali, trattate come oggetti da spostare. Gli equipaggi civili vengono tenuti all’oscuro, mentre le guardie private ignorano le regole di sicurezza. E poi c’è la contraddizione più profonda: si richiede agli assistenti di volo di garantire la sicurezza di tutti a bordo, ma si vieta loro di interagire con i passeggeri, ma se c’è un’emergenza, come evacuare cento passeggeri incatenati mani e piedi?
Una assistente di volo che per motivi di privacy ha deciso di restare anonima con lo pseudonimo “Lala”, ha raccontato a ProPublica che una mattina durante un volo di deportazione verso il Messico, c’era a bordo una bambina con la febbre alta che aveva serie difficoltà respiratorie. A bordo c’era anche un’infermiera a contratto che lavorava a fianco delle sue guardie di sicurezza. Ma dopo aver somministrato il farmaco paracetamolo alla bambina, l’infermiera ha lasciato la situazione nelle mani della hostess. Lala ha detto di aver infranto la regola sul parlare con i detenuti e si è rivolta ai genitori della bimba malata che le hanno detto che la loro figlia soffriva di asma. Lala ha poi messo la maschera di ossigeno alla bambina e ha contato i minuti, pregando che la ragazza continuasse a respirare. La bambina ha resistito nonostante le condizioni, per tutto il viaggio fino all’arrivo in Messico.