In Danimarca, una crescente tensione politica e commerciale si sta sviluppando in difesa della Groenlandia. Fulcro della protesta contro l’Amministrazione Trump è il boicottaggio dei prodotti americani in risposta alla persistente esigenza all’acquisizione da parte degli USA del territorio “dei ghiacci”.
Sempre più consumatori danesi si rifiutano di acquistare beni e servizi provenienti dal Paese a “stelle e strisce”, tra cui marchi come Tesla, Netflix e Coca-Cola. L’obiettivo non è solo un atto di disobbedienza economica, ma anche una manifestazione di solidarietà e difesa verso l’isola che è parte del Regno.
Supermercati, tra cui Spar e Salling Group, hanno introdotto etichette ben visibili per evidenziare merci di origine locale ed europea, ufficialmente per una migliore trasparenza, mentre app come “Made O’meter” aiutano gli acquirenti a identificare facilmente le alternative non statunitensi.
La protesta ha trovato spazio anche sulle piattaforme social, con la creazione di gruppi come “Boykot Varer Fra USA” che hanno visto crescere i sostenitori fino a quasi 93.000 in meno di un mese. Le iniziative però si spingono più avanti: oltre a boicottare i marchi, i danesi stanno cercando attivamente alternative per evitare anche le catene di fast food e le piattaforme di streaming. I consumatori si ispirano alle campagne già in corso in Canada, dove una simile opposizione alle politiche repubblicane ha spinto a ridurre gli acquisti di articoli made in USA.
Secondo esperti del settore, le vendite di Tesla in Danimarca sono diminuite drasticamente, con un calo vicino al 50% rispetto all’anno precedente. Le reazioni appaiono tangibili anche sui veicoli, alcuni dei quali sono stati decorati con adesivi che riportano: “Non sono un sostenitore di Elon Musk”.
Oltre alla reazione commerciale, i riflessi si riverberano sulla dimensione economica: secondo stime di Goldman Sachs, una delle principali banche d’investimento e istituzioni finanziarie globali, il boicottaggio potrebbe ridurre il PIL del Regno dallo 0,1% allo 0,3% nel 2025, con perdite tra i 28 e gli 83 miliardi di dollari, a seconda della risposta a queste azioni di protesta.
Le recenti dichiarazioni di Trump unite a quelle del vicepresidente JD Vance, che hanno suggerito ai groenlandesi che sarebbero “meglio protetti dagli Stati Uniti piuttosto che dalla Danimarca”, hanno ulteriormente alimentato le tensioni tra le due Nazioni.
Nel 1814, con il Trattato di Kiel, la Groenlandia è divenuta ufficialmente una colonia danese, status che ha mantenuto fino al 1953, quando fu integrata come territorio d’oltremare. Tuttavia, il desiderio di maggiore autonomia non si è mai spento tra la popolazione. Nel 1979, un referendum ha portato alla creazione di un governo autonomo, che nel 2009 ha ottenuto ulteriori poteri, tra cui il controllo su risorse naturali e politiche interne, pur restando sotto la sovranità di Copenhagen per la politica estera e la difesa.
Oggi, l’isola dipende economicamente dalla Danimarca, che fornisce circa un terzo del suo bilancio annuale. Tuttavia, il crescente interesse internazionale per le sue risorse naturali e la posizione strategica nell’Artico hanno riacceso il dibattito sull’indipendenza.