Mercoledì pomeriggio alle 16, dal Rose Garden della Casa Bianca, Donald Trump darà tutti i particolari sui dazi. Fino a oggi si sa ben poco, sia dei Paesi che verranno centrati dai fulmini del presidente sia delle merci che verranno tassate.
Secondo il ben informato Politico al capo della Casa Bianca sono state presentate diverse proposte da suoi consiglieri economici e il presidente avrebbe scelto quella del ministro del Commercio, Howard Lutnick, l’ex CEO di Cantor and Fitzgerald che, data la sua lunga amicizia personale con Trump, lo chiama al cellulare evitando tutti filtri imposti da Susie Weils, la capa dello Staff della Casa Bianca. Lutnick ha trascorso molto tempo con Trump per preparare il piano, diverso da quello che era stato proposto dal segretario al Tesoro Scott Bessent e che sarebbe stato accantonato.

Nonostante tutti i sorrisi e il forzato ottimismo mostrato dalla portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt, all’interno del palazzo ci deve essere mare mosso. A 24 ore dall’annuncio, Leavitt ha affermato che Trump era in riunione con i suoi consiglieri economici “per assicurarsi che questo sia un accordo perfetto per il popolo americano e per i lavoratori americani e lo scoprirete tutti tra circa 24 ore. Ogni Paese che ha trattato in modo scorretto gli Stati Uniti si dovrà attendere i dazi. Il presidente Trump è sempre pronto per una telefonata o per un buon negoziato”. Cioè, un accordo che inevitabilmente scompiglierà le economie di moltissimi Paesi fino a ieri alleati e che mette a rischio anche l’economia americana sarebbe un espediente per cercare di mettere in difficoltà coloro che commerciano con gli Stati Uniti per poi trattare in una posizione di forza. E come tutti gli esperimenti i risultati non sono del tutto scontati. Tanto che – sempre secondo Politico – il segretario al Tesoro Bessent avrebbe cominciato a prendere le distanze dal piano presentato da Lutnick e rielaborato da Trump.
Una trama ampiamente sperimentata nelle puntate di The Apprentice, in cui Trump lasciava i partecipanti dello show televisivo nell’incertezza del licenziamento, dopo le minacce fatte con la voce grossa, aspettando che chi era stato redarguito lo chiamasse con la coda tra le gambe, in modo che lui potesse dettare le condizioni per il suo impiego. Un bluff che in televisione gli ha dato quell’alone di imprenditore spregiudicato tanto amato dalle masse e che lo ha portato alla Casa Bianca. Tutto da vedere ora se questa messa in scena televisiva funzioni anche con il resto del mondo, quello reale. Per ora il Canada gli ha risposto picche e il Messico sorride vedendo penalizzate le aziende americane che hanno costruito fabbriche in territorio messicano. Di sicuro il presidente sta scherzando con il fuoco perché l’unico peccato che i suoi elettori non gli perdoneranno sarà quello di aver intaccato il loro portafoglio.
Nel frattempo Corea del Sud, Cina e Giappone hanno tenuto una decina di giorni fa il loro primo dialogo economico in sei anni, cercando di agevolare il commercio regionale per prepararsi ad arginare i dazi degli Stati Uniti.
I dazi che la Casa Bianca annuncerà domani riguarderanno “tutti i Paesi”, non solo quelli con i maggiori squilibri commerciali con gli Stati Uniti. Lo ha già detto Trump nei giorni scorsi respingendo l’idea che le tariffe doganali colpiranno solo un numero ristretto di partner commerciali di Washington. “Inizieremo con tutti i Paesi e vedremo cosa succede”.
Dopo l’annuncio dei dazi di sei settimane fa, Trump era sembrato ammorbidire i toni, spiegando che avrebbe concesso una “pausa a molti Paesi” e che le tariffe sarebbero state “meno dure di quelle reciproche” per evitare di infliggere danni pesanti. Venerdì scorso ha poi aperto alla possibilità di intese con i singoli Stati. Nel fine settimana, però, si è indurito. Ai microfoni di NBC ha detto di non essere interessato a un possibile aumento dei prezzi per le auto importate straniere, sulle quali ha imposto un dazio del 25% che scatterà il 3 aprile, e si è mostrato pronto a trattare solo con i Paesi disposti a “offrire qualcosa di valore”. Domenica, rientrando da Mar-a-Lago, ha alzato il tiro spiegando che i dazi avrebbero riguardato “tutti”, smentendo così Bessent, che nei giorni precedenti aveva parlato di dazi solo contro i “dirty 15”, i 15 Paesi che hanno i maggiori squilibri commerciali con gli Stati Uniti.

L’evolversi delle posizioni di Trump sta complicando il lavoro del suo staff, chiamato a presentare al presidente la strategia da seguire. Dopo aver per più di un mese concentrato l’attenzione sui dazi reciproci, l’amministrazione è tornata a valutare l’ipotesi di dazi universali al 20%. Ma la Casa Bianca avrà anche un altro scoglio da superare: ci sono alcuni senatori repubblicani che hanno detto che intendono unirsi ai democratici nell’opporsi al piano dei dazi in generale e in quelli imposti al Canada in modo particolare.
I senatori repubblicani Susan Collins e Thom Tillis hanno detto che intendono sostenere la risoluzione del senatore democratico Tim Kaine per bloccare i dazi generalizzati del 25 percento. A loro si unirà il senatore del GOP Rand Paul, un co-sponsor della risoluzione di Kaine e un forte oppositore dei dazi. Il novantunenne senatore dell’Iowa Chuck Grassley, uno dei tanti repubblicani degli stati agricoli che ha sollevato forti preoccupazioni sui dazi in generale, ha affermato di non aver ancora deciso se opporsi al presidente. Collins è preoccupata per le potenziali interruzioni dei principali motori economici nel suo stato d’origine, il Maine, la cui economia è strettamente integrata con quella del Canada.
Se quattro senatori repubblicani si dovessero unire a tutti i 47 democratici nel sostenere la risoluzione di Kaine sarebbe la prima bocciatura al Senato che ha la maggioranza repubblicana, da quando Trump è entrato in carica a gennaio.