“Non ho mai dovuto pensare a cosa stesse accadendo in politica quando scrivevo una storia.” ha detto Zoe Marshall, scrittrice e professionista dei media nota per il suo lavoro nella serie drammatica Found della NBC. Marshall fa anche parte del prestigioso consiglio di amministrazione della Writers Guild of America West.
Questo era il principio con cui molti creativi dell’industria dell’intrattenimento affrontavano il loro lavoro. Oggi, invece, la realtà sembra essere diversa. Secondo numerosi sceneggiatori, produttori e agenti, il panorama delle grandi produzioni sta subendo un mutamento percettibile. Nessuno impone direttive esplicite, ma il cambiamento si avverte da piccoli dettagli: modifiche alle sceneggiature richieste dai dirigenti, personaggi e trame adattati per evitare determinati temi, fino alla completa eliminazione di elementi narrativi considerati troppo sensibili.
The Hollywood Reporter, riporta che i grandi studi cinematografici che negli ultimi anni avevano abbracciato politiche di Diversità, Equità e Inclusione DEI, stanno ora facendo un passo indietro. Il risultato è l’offerta di cast meno variegati e storie meno coraggiose nell’affrontare temi sociali. Il messaggio che filtra è chiaro: meglio evitare contenuti potenzialmente divisivi.
Alcuni professionisti del settore, pur senza fare nomi, raccontano di come sia cambiata l’atmosfera nei corridoi degli studios. Se prima la rappresentazione di minoranze e tematiche progressiste era incoraggiata, oggi si preferisce un approccio più cauto. Il timore, secondo molti, è che dietro questa tendenza vi sia una risposta alle pressioni politiche ed economiche che influenzano indirettamente il settore.
A livello pratico, il cambiamento si riflette su molteplici aspetti della produzione. Alcuni sceneggiatori riferiscono che le proposte di storie con protagonisti appartenenti a minoranze o con temi sociali impegnati vengono accolte con minor entusiasmo. Progetti che un tempo avrebbero ricevuto consensi oggi subiscono lunghi processi di revisione, talvolta venendo accantonati in favore di contenuti più “neutri” e meno polarizzanti.
Verna Myers, ex responsabile dell’inclusione presso Netflix, ha una visione più diretta della situazione. “Le pressioni stanno spingendo molte aziende a rivalutare le proprie scelte”. Aggiunge: “Le aziende più intelligenti stanno cercando di capire fino a che punto si spingerà questa tendenza. Vogliono evitare di finire nel mirino”.
Un altro effetto di questi nuovi scenari è il ritorno di un certo conformismo narrativo. Con il rischio di creare polemiche o allontanare segmenti di pubblico, molti studi sembrano preferire storie che non prendano posizioni troppo nette, limitando la creatività degli autori. Questo porta a una standardizzazione dei contenuti, con meno spazio per l’innovazione e la sperimentazione.
Per alcuni, si tratta di un naturale assestamento dopo anni di forte spinta inclusiva, ma per altri è un segnale preoccupante di come la libertà espressiva nell’intrattenimento possa essere condizionata da fattori esterni. Un tempo, la narrazione cinematografica e televisiva procedeva quasi indipendentemente dai cambiamenti politici. Oggi, per molti addetti ai lavori, questa libertà sembra assottigliarsi sempre più.
La domanda che in molti si pongono è se questa tendenza sia temporanea o destinata a durare. Il settore dello spettacolo ha sempre avuto un rapporto complesso con la società e la politica, oscillando tra periodi di grande apertura e fasi di maggiore prudenza. Ciò che resta da vedere è se gli autori e i creativi troveranno nuovi modi per far sentire la propria voce in un contesto in continua evoluzione.