Donald Trump dichiara guerra ai sindacati della pubblica amministrazione.
Il presidente USA ha firmato giovedì un ordine esecutivo che abolisce la contrattazione collettiva per due terzi dei dipendenti federali. Il documento presentato dalla Casa Bianca si richiama a una disposizione poco sfruttata del Civil Service Reform Act del 1978, che conferisce al presidente la facoltà di escludere determinate agenzie e divisioni governative dalle norme sulla contrattazione sindacale se tali norme risultano “incompatibili” con esigenze di sicurezza nazionale.
In concreto, le istruzioni diffuse dal direttore ad interim dell’Office of Personnel Management, Charles Ezell, indicano che le agenzie colpite dal decreto non sono più soggette alle regole di contrattazione collettiva previste dal Titolo 5 del Codice degli Stati Uniti (dedicato appunto ai funzionari del governo e alle relative agenzie). I funzionari governativi sono stati inoltre invitati a interrompere la partecipazione a qualsiasi procedura di contenzioso sindacale in corso.
L’idea di ricorrere alla misura non è nuova. Già nel 2020 Trump ne aveva valutato l’impiego, concedendo all’allora segretario alla Difesa, Mark Esper, la possibilità di escludere il Pentagono dalle normative sui contratti sindacali. Di fronte alla resistenza bipartisan del Congresso, Esper decise tuttavia di non esercitare il potere.
Stavolta, invece, il risultato potrebbe essere diverso. Trump ha imposto la cessazione dei negoziati sindacali nei dipartimenti della Difesa, Stato, Affari dei Veterani, Giustizia ed Energia, nonché nei dicasteri dell’Interno, dell’Agricoltura, del Tesoro, della Sanità e della Sicurezza Nazionale. L’impatto si estende anche ad altri enti pubblici come l’Agenzia per il Commercio Internazionale, l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente, la Commissione per il Commercio Internazionale, la Commissione per la Regolamentazione Nucleare, la Fondazione Nazionale per la Scienza e la General Services Administration.
In termini numerici, il provvedimento interessa il 67% della forza lavoro federale e il 75% di coloro che attualmente risultano iscritti a un sindacato, secondo i calcoli del portale Government Executive.
Everett Kelley, presidente della American Federation of Government Employees, principale sigla sindacale dei dipendenti pubblici federali, ha bollato l’ordine esecutivo come una ritorsione contro i sindacati, colpevoli di aver difeso i lavoratori nel contesto delle epurazioni governative.
“Questo decreto rappresenta un vergognoso attacco ai diritti di centinaia di migliaia di servitori pubblici americani, tra cui molti veterani, semplicemente perché appartengono a sindacati che si oppongono alle politiche dannose dell’amministrazione”, ha dichiarato Kelley. “Le intimidazioni della Casa Bianca non minacciano solo i lavoratori federali, ma ogni cittadino che crede nella democrazia e nei principi della libertà di associazione e di parola. Il messaggio di Trump è chiaro: chi si oppone alla sua agenda è destinato a pagare il prezzo.”
La Casa Bianca accusa apertamente i sindacati di ostacolare la sua agenda e li accusa di aver “dichiarato guerra” ai suoi obiettivi politici, facendo ricorso a contestazioni legali e procedimenti arbitrali per frenare i tentativi di riforma della burocrazia federale.
“Il presidente ha il potere di ridefinire le condizioni di rappresentanza sindacale e di negoziare nuovi contratti alla loro scadenza”, ha spiegato Don Kettl, ex preside della School of Public Policy dell’Università del Maryland. “Ma non può semplicemente cancellare gli accordi già esistenti con un tratto di penna.”
“La logica dietro questa misura”, conclude Kettl, “sembra suggerire che i poteri del presidente in materia di sicurezza nazionale prevalgano su qualsiasi accordo sindacale esistente. Ma il documento della Casa Bianca va oltre, insinuando che il Civil Service Reform Act stesso permetta ai sindacati di bloccare la gestione delle agenzie. Siamo di fronte a un attacco coordinato contro la normativa vigente e contro le rappresentanze dei lavoratori pubblici.”