Mercoledì, la giudice federale Sidney Stein ha respinto il tentativo di OpenAI di archiviare la causa sul copyright intentata dal New York Times, che accusa l’azienda di furto di massa, per aver utilizzato i contenuti delle sue pubblicazioni per addestrare il sistema di intelligenza artificiale senza consenso e senza alcun compenso.
La nota testata statunitense ha presentato la causa nel 2023 dopo un’impasse nelle trattative con OpenAI e Microsoft per un accordo che risolvesse i problemi legati all’uso dei suoi articoli per alimentare chatbot automatizzati. Il Times, dopo il lancio di ChatGPT e BingChat, ha notificato alle aziende che la loro tecnologia violava i suoi articoli. I termini di una risoluzione prevedevano un accordo di licenza e l’istituzione di limitazioni intorno agli strumenti di intelligenza artificiale generativa.
La causa, seguita da altre testate giornalistiche, potrebbe avere implicazioni di vasta portata sul settore dell’editoria. Per gli addetti ai lavori, in gioco vi sarebbe la sostenibilità finanziaria dei media in un panorama in cui i lettori possono ignorare le fonti dirette a favore di risultati di ricerca generati da strumenti di AI. A seconda delle decisioni prese nelle cause intentate dalle testate giornalistiche, OpenAI potrebbe essere costretta ad accettare costosi accordi di licenza.
Nella sua denuncia, il Times ha presentato ampie prove di prodotti di OpenAI che riproducono quasi interamente articoli dei suoi giornalisti, parola per parola. La testata ha presentato nella sua causa oltre cento episodi di questo tipo riguardante la sola ChatGPT.
In seguito, il colosso tecnologico ha apportato delle modifiche affinché il suo chatbot non fornisca più copie letterali degli articoli. Mentre la causa prosegue, il Times ha rivelato all’inizio di quest’anno di aver speso già 10,8 milioni di dollari nel 2024 per le varie controversie sull’intelligenza artificiale.
L’accertamento delle violazioni da parte di OpenAI, invece, potrebbe comportare danni ingenti alla società, dato che la multa massima prevista dalla legge per ogni irregolarità intenzionale è di 150.000 dollari.
A differenza del New York Times, nel corso degli ultimi mesi altre case editrici hanno deciso di firmare accordi commerciali redditizi con l’azienda di Sam Altman. Tra queste, ad esempio, vi sono News Corp, proprietaria del Wall Street Journal e del New York Post, e Condé Nast, proprietaria del New Yorker.