La Casa Bianca cerca di estinguere le fiamme che hanno incendiato il dibattito politico dopo che il direttore del magazine The Atlantic, Jeffrey Goldberg, misteriosamente incluso in una chat non autorizzata usata dai vertici militari e dei servizi segreti in cui si discutevano i preparativi per colpire gli Houti nello Yemen, ha reso pubbliche le conversazioni. E oggi il settimanale ha pubblicato una seconda puntata delle chat sul sito.
“Aggiornamenti per il team – scrive il ministro della Difesa Pete Hegseth nella chat –. Le condizioni meteorologiche sono favorevoli, appena ricevuta conferma del Centcom che partiamo con la missione”. Pochi minuti dopo, alle 11:44, ora di Washington, del 15 marzo, il capo del Pentagono ha cominciato a dare informazioni agli altri membri del team sugli imminenti raid. “Alle 12:15 ET decollo degli F-18 (il primo gruppo di raid)”. “La prima finestra per i raid” sarebbe scattata alle 13:45 quando “il target terroristico sarà nella nota posizione, quindi dovrà essere puntuale”. Si fa riferimento anche al “decollo di droni di attacco MQ-9”. Per le 14:10 “è previsto il lancio del secondo gruppo di F-18” e alle 14:15 “i raid dei droni contro il target”. Infine “alle 15:36, l’inizio del secondo attacco degli F-18, e il lancio dal mare dei Tomahawks”. “Buon viaggio ai nostri guerrieri”, conclude Hegseth. Particolari che confermano obiettivi da colpire, armi da usare e tempi da rispettare per compiere la missione.
In precedenza, il direttore di The Atlantic si era astenuto dal rivelare i dettagli dell’operazione militare per non compromettere la sicurezza nazionale e la vita dei soldati americani. Ma a fargli cambiare idea sono state le affermazioni di Trump, Waltz, Hegseth e dei responsabili dell’intelligence: tutti hanno negato che nella chat ci fossero i piani di guerra o materiale classificato, accusando Goldberg di essersi inventato tutto. “Queste affermazioni – scrive il direttore della rivista – mi hanno posto di fronte a un dilemma e mi hanno portato a credere che gli americani dovrebbero vedere i testi per arrivare alle proprie conclusioni. C’è un chiaro interesse nazionale nel divulgare queste informazioni che i consiglieri di Trump hanno incluso in canali di comunicazione non sicuri, soprattutto perché le figure di spicco dell’amministrazione stanno tentando di minimizzare il significato dei messaggi che sono stati condivisi”.
“People should see the texts in order to reach their own conclusions.” @jeffreygoldberg and @ShaneHarris share the group chat in which officials planned strikes on Yemen: https://t.co/42G8oatPt0
— The Atlantic (@TheAtlantic) March 26, 2025
Un incendio mediatico che, nonostante tutti i tentativi di domarlo, continua a infiammare Washington e prende nuovo vigore dopo che un gruppo di difesa della democrazia, American Oversight, ha citato in giudizio il segretario alla Difesa Pete Hegseth, la direttrice della National Intelligence Tulsi Gabbard, il direttore della CIA John Ratcliffe, il segretario al Tesoro Scott Bessent e il Segretario di Stato Marco Rubio, per aver violato le leggi federali sulla conservazione dei documenti. Gli accusati hanno utilizzato la chat di Signal, che non ha i controlli e le contromisure per registrare le conversazioni, per discutere dell’attacco militare. E il giudice sorteggiato per giudicare questo caso è James Boasberg, lo stesso con il quale la Casa Bianca è in contrasto per aver bloccato le deportazioni dei venezuelani a El Salvador.
Proprio oggi la Corte d’Appello federale ha confermato la decisione del giudice Boasberg che aveva temporaneamente bloccato le deportazioni ordinate dalla Casa Bianca in base all’Alien Enemies Act. La legge d’emergenza che risale al 1789 permette che i cittadini stranieri vengano deportati senza essere sottoposti a procedimento giudiziario ed era stata usata solo in tempo di guerra. I magistrati della Corte si sono divisi: due a favore e uno contro la conferma dello stop ordinato da Boasberg.
Secondo il ben informato Politico, i più stretti collaboratori di Trump sono preoccupati, arrabbiati e confusi sul modo in cui la vicenda è stata finora gestita. Nelle ultime 24 ore, il presidente e i suoi funzionari hanno cercato di minimizzare la gravità del caso. Secondo Politico, gli alleati di Trump sono esasperati dalla strategia del consigliere per la Sicurezza Nazionale, Mike Waltz, che insiste nel dire che non sa come il numero del giornalista Goldberg sia stato incluso in una discussione sulle operazioni militari in Yemen. Giustificazione da tutti ritenuta non sufficiente. “Non sa come il numero sia stato aggiunto alla lista dei partecipanti – scrive Politico – e ha chiesto aiuto a Elon Musk per capirlo, aprendo un nuovo fronte nella storia”. La decisione di coinvolgere il CEO di Tesla e capo del DOGE per indagare sulla fuga di notizie preoccupa i funzionari, che temono ulteriori danni politici. Un’altra fonte vicina alla Casa Bianca ha definito “assurde” le affermazioni di Waltz di non conoscere Goldberg e di non sapere come il suo numero sia finito nel telefono, avvertendo che qualcuno potrebbe smentirlo se emergessero prove di contatti precedenti.
Per ora l’Amministrazione Trump ha ripetutamente affermato che le conversazioni non erano top secret, ma si trattava di un normale dibattito di lavoro tra i responsabili della Difesa che preparavano la risposta militare contro un gruppo di terroristi. Una riunione che con sensazionalismo è stata rivelata dal direttore di The Atlantic, invitato per sbaglio. Ma i MAGA da sempre non hanno buon sangue con Mike Waltz, ex stretto collaboratore di Dick Cheney dai tempi quando prima di essere nominato da George W. Bush vicepresidente era alla guida del Pentagono. I Cheney, padre e figlia, sono nella lista nera di Trump e dei trumpiani.
Ora la Casa Bianca è alla ricerca di un colpevole che, ovviamente, non deve fare parte della cerchia di Trump per non “contaminare” l’aura di sicurezza delle scelte fatte dal presidente. La portavoce Karoline Leavitt ha risposto con sdegno e un tono di sfida ai giornalisti che chiedevano aggiornamenti sulla posizione dell’Amministrazione in questa vicenda. La nuova serie di messaggi pubblicata da The Atlantic confuta le affermazioni di Hegseth e di altri funzionari dell’amministrazione Trump. Leavitt ha tuttavia ripetuto le affermazioni secondo cui “non sono state trasmesse informazioni classificate” nei messaggi su Signal e ha tentato di fare una distinzione tra i “piani di guerra” citati nell’articolo del settimanale e i dettagli operativi che Hegseth ha rivelato al gruppo poche ore prima che cadessero le prime bombe. La portavoce ha quindi affermato che il presidente continua ad avere fiducia nel suo team per la sicurezza nazionale.