Questa mattina l’amministrazione Trump ha chiesto alla Corte Suprema di sospendere la sentenza che ordinava la riassunzione di migliaia di dipendenti federali licenziati dal DOGE di Elon Musk. L’appello sostiene che un giudice federale non può obbligare il ramo esecutivo a riassumere 16 mila funzionari in prova. Gli avvocati del Dipartimento della Giustizia hanno richiesto di bloccare non solo questa decisione, ma tutte quelle degli altri magistrati federali che con le loro sentenze impediscono le trasformazioni dell’apparato pubblico che il presidente vorrebbe fare.
Nei giorni scorsi il giudice distrettuale William Alsup, della corte federale di San Francisco, ha scoperto che i licenziamenti imposti dal DOGE non rispettavano le regole per la sospensione dal lavoro dettate dall’ordinamento federale e ha imposto l’immediata reintegrazione dei dipendenti licenziati. Gli enti federali che avevano tentato di fare piazza pulita dei nuovi assunti sono i dipartimenti degli Affari dei veterani, dell’Agricoltura, della Difesa, dell’Energia, degli Interni e del Tesoro.
Ci sono molte cause legali che contestano le azioni e gli ordini esecutivi del presidente. Secondo il sito Just Security, sono 132 in totale, 21 delle quali presentate in tribunale solo nel mese di marzo. Due di queste spiccano, tuttavia, come le violazioni più evidenti della Costituzione da parte del capo della Casa Bianca. La prima è se il presidente possa annullare la spesa federale imposta con una legge passata dal Congresso. L’altra questione è la cancellazione dello ius soli, la cittadinanza per diritto di nascita. La Costituzione è assolutamente chiara sul fatto che chiunque nasca negli Stati Uniti è un cittadino statunitense, indipendentemente dallo stato di immigrazione dei propri genitori.
L’attuale Corte Suprema non è solo conservatrice, ma ha dimostrato che con le sue discutibili decisioni è anche partigiana. Ecco perché i casi della cittadinanza per diritto di nascita e quello dell’annullamento dei finanziamenti approvati dal Congresso, che sono delle palesi violazioni alla Costituzione, sono degli indici importanti.
La logica porta a concludere che nessun giudice imparziale potrebbe decidere che le azioni di Trump, in entrambi i casi, siano legittime e se la Corte invece si dovesse pronunciare in favore del presidente è difficile immaginare che i magistrati possano opporre una qualche significativa resistenza a qualsiasi cosa lui voglia fare.
Ci sono però i segnali che questo non avverrà. Sulla questione del sequestro dei finanziamenti approvati dal Congresso e bloccati da Trump, la Corte Suprema ha respinto di recente la richiesta dell’amministrazione di bloccare un ordine di tribunale inferiore che l’obbligava a effettuare circa 2 miliardi di dollari in pagamenti all’USAID. Il voto è stato 5-4 e la decisione della Corte ha dato l’impressione che la maggior parte dei giudici non sia così ansiosa di accogliere le richieste del presidente.
Ora davanti ai magistrati della massima assise giudiziaria degli Stati Uniti ci sono tre decisioni di emergenza presentate dalla Casa Bianca.
Finora, la Corte ha emesso solo brevi ordinanze indicando che i giudici non inizieranno nemmeno a considerare il caso prima del 4 aprile, più di tre settimane dopo che l’amministrazione Trump aveva chiesto loro di intervenire. Un segnale che fa capire che i magistrati stanno prendendo tempo non ritenendo fondate le argomentazioni del governo.
Secondo il ben informato sito VOX, il giudice Brett Kavanaugh ha scritto in un parere del 2013 che “nemmeno il presidente ha l’autorità unilaterale di rifiutarsi di spendere i fondi stanziati dal Congresso”. E il giudice capo Roberts in un promemoria della Casa Bianca del 1985 sul sequestro dei fondi affermava che “nessuno era più pertinente del Congresso per concedere i finanziamenti”.
Gli argomenti legali con cui gli avvocati dell’amministrazione cercano di modificare la cittadinanza per diritto di nascita sono ancora peggiori. Il Quattordicesimo Emendamento della Costituzione stabilisce che “tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti e soggette alla loro giurisdizione sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono”.
La questione se i giudici di tribunale inferiore possano emettere le cosiddette “ingiunzioni nazionali”, ordini che sospendono una politica federale nella sua interezza anziché consentire ai querelanti in un caso individuale di ignorare tale politica, è rimasta in sospeso per un bel po’ di tempo.
Il Dipartimento di Giustizia vorrebbe limitare queste ingiunzioni nazionali. Ma la Corte ha finora consentito che almeno alcuni di questi ordini generali rimangano in vigore. Uno dei segnali della contrarietà dei magistrati alle richieste della Casa Bianca si evidenzia dal fatto che normalmente la risposta dei giudici avviene in brevissimo tempo, a volte anche dopo un paio di giorni e raramente più di una settimana. In questo caso, tuttavia, la Corte ha preso tre settimane di tempo per rispondere.
Finché la Corte non decide le decisioni del tribunale inferiori rimangono in vigore. Un fatto che suggerisce che sembra improbabile che la Corte Suprema appoggi Trump. Ciò non significa che questa Corte controllerà molte delle altre azioni del presidente. Ma suggerisce che anche i giudici conservatori della Corte si oppongono alle richieste più provocatorie di questa Casa Bianca.