La Columbia University ha accettato di fare importanti concessioni all’amministrazione Trump, con lo scopo di vedersi riassegnare fondi federali da 400 milioni di dollari, che il governo aveva deciso di congelare, accusando l’ateneo di non essere riuscito a combattere l’antisemitismo nel campus, durante le manifestazioni pro-Pal.
La Columbia si è dunque piegata alla maggior parte delle richieste dell’amministrazione, che prevedevano misure quali il divieto di indossare maschere sul volto nel campus, il conferimento agli agenti di sicurezza del potere di allontanare o arrestare le persone e l’immediata revisione del programma di studi sul Medio Oriente.
Il corso in questione verrà ora supervisionato da un nuovo funzionario, e non più dai docenti dell’ateneo.
Nelle ultime settimane, l’amministrazione Trump ha avvertito almeno altre 60 università di possibili azioni per il presunto mancato rispetto delle leggi federali sui diritti civili relative all’antisemitismo. Ha inoltre preso di mira circa tre studi legali che, secondo il presidente, hanno aiutato i suoi avversari politici o hanno contribuito a perseguirlo ingiustamente.
L’improvvisa interruzione di milioni di dollari di finanziamenti federali alla Columbia University aveva già provocato lo stop ai programmi di ricerca medica e scientifica presso l’istituto.
Scienziati e dottori a cui erano state assegnate sovvenzioni dai National Institutes of Health dopo mesi o anni di lavoro hanno riferito di aver ricevuto la scorsa settimana notifiche insolite via e-mail, in cui si diceva che i loro progetti erano stati interrotti a causa di “azioni antisemite pericolose”.
Tra i programmi annullati vi era lo sviluppo di uno strumento basato sull’intelligenza artificiale per aiutare gli infermieri a rilevare il peggioramento delle condizioni di salute di un paziente in ospedale.
“Possono essere poste domande legittime sulle nostre pratiche e sui nostri progressi, e noi risponderemo”, aveva dichiarato Katrina Armstrong, presidente della Columbia, solo pochi giorni fa, “Ma non comprometteremo mai i nostri valori di indipendenza pedagogica, il nostro impegno per la libertà accademica o il nostro obbligo di seguire la legge”.
Le affermazioni della Armstrong avevano lasciato presagire che l’ateneo avrebbe cercato di non piegarsi alle richieste dell’amministrazione. Probabilmente, però, il richiamo dei 400 milioni di dollari ha avuto la meglio su tutto.
“Questa è una situazione senza precedenti”, ha dichiarato invece il professor Jonathan Zimmerman, storico dell’istruzione presso l’Università della Pennsylvania, laureatosi alla Columbia, “Il governo sta usando i soldi come una clava per gestire un’università”.
Nel frattempo, il New York Times ha riportato una storia risalente alla fine degli anni Novanta, riguardante il rapporto piuttosto complesso tra Donald Trump e l’ateneo newyorkese.
Al tempo, la Columbia aveva bisogno di più spazio per ospitare ricercatori, lezioni e studenti, ed il leader MAGA propose all’allora direttore Lee C. Bollinger di investire nelle sue proprietà, chiedendo 400 milioni di dollari. La stessa cifra dei fondi federali al centro della disputa tra l’attuale governo e l’ateneo dell’Ivy League.
Un caso? Probabilmente. Eppure, secondo molti addetti ai lavori, Trump non ha mai dimenticato il “No” incassato 25 anni fa da Bollinger e soci.