È la resa dei conti nel partito democratico. Dopo che Donald Trump venerdì ha messo in ginocchio anche Chuck Schumer, il leader della minoranza democratica al Senato è ora al centro della contestazione. Il suo voto, con cui è passata la legge ponte di bilancio, ha acuito le divisioni all’interno del partito deludendo molti dei suoi compagni sia alla Camera che al Senato, che speravano in una sua posizione più ferma contro i tagli che la Casa Bianca e il DOGE di Elon Musk stanno facendo.
Schumer ha spiegato che la sua decisione era motivata dal desiderio di evitare uno shutdown governativo, che avrebbe colpito i dipendenti federali. Tuttavia, non sfruttare il filibuster per ottenere concessioni dai Repubblicani è stata una totale capitolazione all’agenda del presidente. Il suo voto, al quale hanno fatto seguito altri otto democratici, è stato decisivo per aggirare l’ostruzionismo della minoranza. Superato questo scoglio, il testo, scritto dai conservatori senza mediare con l’opposizione, è approdato sulla scrivania di Trump, che lo ha già firmato.
Alcuni membri del partito, in particolare quelli più vicini alla corrente progressista (come l’“indipendente” Bernie Sanders, Elizabeth Warren e i membri del “Squad”), si sentono traditi da Schumer per aver accettato il compromesso su temi cruciali come l’assistenza sanitaria, il cambiamento climatico o l’equità sociale. Questi gruppi spingono per politiche più radicali, ritenendo che con Trump il compromesso non sia possibile.
Al contrario, Schumer e altri democratici si sono sentiti obbligati a mantenere il governo operativo per evitare gravi crisi politiche ed economiche, come il fermo del governo o il default sul debito pubblico. Decisione aspramente criticata dalla sinistra dem con la deputata Alexandria Ocasio-Cortez che ha lanciato alla Camera la rivolta contro Schumer. Proprio la pasionaria democratica sta emergendo come il volto del partito contro Donald Trump, colei che meglio rappresenta gli elettori liberal. Durante i primi due mesi alla Casa Bianca, i democratici sono stati incapaci di contrastare il presidente attirandosi molte critiche.

Domenica Chuck Schumer e il leader della minoranza alla Camera Hakeem Jeffries si sono incontrati a Brooklyn. Cosa si siano detti non si sa, ma si può solo immaginare dopo che venerdì sera Jeffries era “esploso” alla Camera con aspre parole criticando la decisione del senatore, rifiutandosi più volte di dire se abbia ancora fiducia in lui. E con Jeffries si sono allineati numerosi altri parlamentari.
Molti democratici ancora non hanno capito, o fanno finta di non capire, che i repubblicani che siedono ora al Congresso non sono più i repubblicani con cui si poteva fare politica e mediare. Centocinquanta degli attuali 218 repubblicani della Camera (69%) sono stati eletti dal 2016, quando Trump ha vinto il suo primo mandato. I senatori del GOP eletti di recente e l’ala conservatrice della Conferenza repubblicana del Senato sono completamente asserviti al capo della Casa Bianca che è riuscito ad usare la sua forza politica imponendo alle primarie del partito solo i candidati che hanno la sua benedizione. Chi dei repubblicani si oppone alla sua visione politica, come in passato hanno fatto Liz Cheney o Adam Kinzinger, viene trombato alle primarie.
I leader del GOP dell’era Bush del 2017, Paul Ryan e Mitch McConnell, per i contrasti interni con il Tea Party, se ne sono andati. L’attuale leadership repubblicana è al 100% pro-Trump. Il presidente della Camera Mike Johnson non avrebbe il suo lavoro se non fosse stato imposto da Trump, mentre il senatore Thune, capo della maggioranza repubblicana, deve rendere omaggio ogni giorno alla visione trumpiana. L’intera Conferenza repubblicana della Camera ha votato per aumentare il limite del debito. Una decisione simile ha fatto perdere la leadership a John Boehner e a Kevin McCarthy.
Trump sta licenziando decine di migliaia di dipendenti federali, sta sventrando le agenzie e i dipartimenti federali, il Ministero dell’Istruzione e le agenzie di assistenza anche per gli studenti che hanno bisogno di assistenza, il che avrà un impatto diretto su tutti gli elettori, democratici e repubblicani. Quando sono scoppiate le proteste nei town hall repubblicani per questi tagli, la leadership del GOP della Camera ha detto ai propri membri di smettere di tenere gli incontri con i propri elettori invece di chiedere a Trump di cambiare direzione.
Per ora i sondaggi sono in favore del presidente, ma mostrano anche un’America completamente spaccata. Secondo un poll della NBC News, a tre mesi dall’inizio del secondo mandato, Donald Trump ha raggiunto il 47% di approvazione, il dato più alto della sua presidenza. Il 56% degli intervistati approva la sua politica sul confine, mentre il 54% esprime un giudizio negativo sulla gestione economica. Sull’inflazione, il 40% ritiene che le sue politiche abbiano effetti positivi, contro il 30% che le considera dannose. Il divario tra repubblicani e democratici è il più ampio degli ultimi 80 anni: il 90% del GOP lo sostiene, mentre tra i democratici il consenso crolla al 4%. Il Partito Democratico, intanto, registra solo il 27% di popolarità, il dato più basso mai rilevato.
L’onda negativa ha investito anche Schumer che ha dovuto cancellare diverse apparizioni pubbliche e interviste programmate in precedenza questa settimana relative al suo nuovo libro sull’antisemitismo.
Negli ultimi giorni infatti è emerso che diversi attivisti stanno organizzando proteste, con la deputata AOC che sta capeggiando la rivolta contro Schumer. Proprio la pasionaria democratica sta emergendo come il volto del partito contro Donald Trump, colei che meglio rappresenta gli elettori liberal. Finora i democratici, ancora rintronati dalla batosta elettorale di novembre, sono apparsi incapaci di contrastare il presidente attirandosi molte critiche.