Una scelta cruciale sotto il cielo artico. Domani la Groenlandia è chiamata a esprimersi in un’elezione che potrebbe segnare una svolta nella storia dell’isola. Mentre i cittadini dovranno sfidare neve e ghiaccio per esprimere il proprio voto, l’ombra di pressioni internazionali incombe sul futuro del territorio danese autogovernato.
Tra i fattori che rendono questa tornata elettorale cruciale c’è la ripetuta minaccia del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di voler prendere il controllo del Paese. Gli elettori dovranno scegliere 31 membri dell’Inatsisartut, il parlamento locale, ma la posta in gioco va ben oltre la semplice composizione politica: il destino stesso della regione potrebbe essere riscritto. Rimanere sotto l’influenza della Danimarca, puntare all’indipendenza o stringere legami più stretti con potenze globali come gli Stati Uniti e l’Europa.
Seppure il concetto di indipendenza non sia ancora ben definito dalla classe dirigente, i due principali partiti, Inuit Ataqatigiit e Siumut, entrambi favorevoli alla sovranità hanno promesso un referendum sulla separazione dalla madrepatria, senza però fissare una data precisa.
Nel 1721, la Danimarca, attraverso la compagnia delle Indie occidentali danesi, ha preso il controllo della Groenlandia, inizialmente come colonia commerciale. Nel 1953, il territorio è stato incorporato ufficialmente nel Regno come una contea, perdendo però alcune egemonie locali. Seppure nel 1979, sia stato concesso al territorio un’autonomia maggiore, che ha permesso la gestione di molte questioni tramite un governo interno, la difesa e gli affari esteri sono rimasti sotto il controllo di Copenaghen.
Nonostante l’autonomia politica e il referendum del 2008 in cui i groenlandesi hanno chiesto più libertà, i legami politici e economici stretti hanno reso difficile un distacco completo dal paese scandinavo.
La Groenlandia è ricca di risorse naturali ancora poco sfruttate, tra cui le ambitissime terre rare. Con una superficie di oltre due milioni di chilometri quadrati e una popolazione inferiore alle 60.000 abitanti, l’isola rappresenta un obiettivo ambito nella geopolitica mondiale.
Trump, che ha definito l’acquisizione una “necessità assoluta”, ha ventilato la possibilità di utilizzare la forza militare o la coercizione economica per ottenere il controllo del territorio. Nei giorni scorsi ha ribadito che l’America riuscirà’ nell’intento “in un modo o nell’altro”. Il crescente interesse di Cina e Russia per l’Artico non fa che aumentare la tensione internazionale intorno all’area.
Consapevole di queste mire, il governo groenlandese ha recentemente inasprito le leggi sulle interferenze straniere, ha vietato donazioni politiche anonime o provenienti dall’estero. L’indipendenza comunque solleverebbe enormi interrogativi sul futuro economico della regione, che attualmente riceve un sussidio annuale di 500 milioni di dollari dalla Danimarca per finanziare il proprio sistema di welfare.
Il primo ministro Múte Egede, leader degli Inuit Ataqatigiit, ha fatto del nazionalismo uno dei pilastri del suo discorso di Capodanno, ha affermato che “è tempo di compiere il passo successivo” e liberarsi dalle “catene dell’era coloniale”.
Uno dei temi più controversi riguarda le risorse minerarie. I legislatori hanno già bloccato diversi progetti supportati dall’UE a causa della presenza di uranio nei giacimenti di terre rare. La questione è stata determinante nelle elezioni del 2021, che hanno portato alla vittoria degli Inuit Ataqatigiit, che si erano opposti a tale sfruttamento. Tuttavia, in questa campagna elettorale, il tema minerario è passato in secondo piano, così come il dibattito su turismo e trasporti marittimi, che potrebbero rappresentare valide alternative economiche per un’eventuale Groenlandia indipendente.
Nonostante le promesse del leader del GOP di rendere “ricca” l’isola, l’opposizione all’annessione agli Stati Uniti è schiacciante: un sondaggio svolto a gennaio ha rivelato che circa l’85% della popolazione è contraria a questa prospettiva.