Hamas non ha ceduto. La minaccia di Donald Trump di “mettere fine a tutto” se non verranno rilasciati gli ostaggi israeliani sembra aver fatto poca impressione. In un nuovo comunicato, il gruppo militante ha ribadito che la liberazione degli ostaggi è legata a un cessate il fuoco permanente e a un accordo che prevede anche la liberazione di prigionieri palestinesi. Il quadro delineato dall’accordo di gennaio sembra, dunque, irremovibile.
Le dichiarazioni di Trump non sono un caso isolato. Da mesi, la Casa Bianca sta cercando di esercitare pressioni su Hamas per ottenere il rilascio dei 24 ostaggi israeliani ancora nelle sue mani, tra cui Edan Alexander, un israeliano-americano. Non solo. Il gruppo terrorista è in possesso anche di altri 34 corpi, tra cui quelli di soldati israeliani uccisi nel 2014. La risposta di Hamas è chiara: il rilascio non avverrà in cambio di minacce, ma solo attraverso negoziati. Un percorso che doveva partire a febbraio, ma che è stato ostacolato dalla poca volontà da parte di entrambe le fazioni di avviare discussioni sostanziali.
Il presidente Trump ha accusato i militanti palestinesi di “essere malati e depravati” per aver trattenuto i corpi delle vittime. A questo è seguita una dichiarazione ancora più incisiva: “Rilasciate tutti gli ostaggi ora, o sarà la fine per voi”. Ma Hamas, almeno per ora, non ha intenzione di cedere. E, al contrario, ha rifiutato la proposta avanzata dagli Stati Uniti per la seconda fase dell’accordo: un rilascio immediato di metà degli ostaggi, seguito da un altro scambio dopo il raggiungimento di un cessate il fuoco permanente.
Anche Israele, dal canto suo, ha intensificato la pressione. Lo Stato ebraico sospeso le forniture di beni essenziali, come cibo, carburante e medicinali, cercando di piegare Hamas a un compromesso. E ha minacciato ulteriori “conseguenze” in caso di mancato rilascio degli ostaggi.
A Gaza, la guerra ha lasciato segni devastanti. Oltre 48.000 palestinesi sono morti, la maggior parte donne e bambini. Israele, invece, rivendica la morte di oltre 17.000 combattenti, senza però fornire prove ufficiali. L’offensiva israeliana ha ridotto a macerie la Striscia di Gaza, costringendo centinaia di migliaia di persone a vivere in condizioni di estrema precarietà. Tende, scuole trasformate in rifugi, palazzi distrutti sono solo alcuni dei segni tangibili della crisi umanitaria che la comunità internazionale sta cercando di arginare.
Nel frattempo, l’Egitto ha annunciato l’organizzazione di una conferenza internazionale per raccogliere fondi per la ricostruzione di Gaza. L’obiettivo è quello di racimolare 53 miliardi di dollari per un piano quinquennale, ma la riuscita dell’iniziativa è fortemente condizionata dal progressivo deteriorarsi della situazione politica e diplomatica
Le dichiarazioni di Trump e gli sviluppi diplomatici non fanno che complicare ulteriormente la situazione. La proposta di una seconda fase dell’accordo con Hamas non trova consensi, e le trattative dirette tra gli Stati Uniti e il gruppo militante – confermate da una fonte governativa USA ad Axios – potrebbero minare la posizione di Israele, che ha da sempre cercato di limitare ogni forma di legittimazione di Hamas. Le previsioni non sono incoraggianti. La guerra sembra destinata a continuare, e con essa la sofferenza della popolazione civile.