E se a minaccia dell’espulsione di milioni di “migranti criminali illegali” servisse a ricompattare l’America Latina al di là dei dissidi politici che separano i paesi del sud del continente? La CELAC, la Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi, ha convocato una riunione di “emergenza” degli Stati membri per il 30 gennaio, in seguito allo scontro di domenica tra Stati Uniti e Colombia – in cui Bogotà ha avito la peggio, e ha dovuto finire per accettare gli aerei con i suoi cittadini dopo la minaccia di Donald Trump di imporre tariffe doganali fino al 50% sugli export colombiani.
La riunione è stata convocata dalla presidente honduregna Xiomara Castro, presidente di turno del blocco. Il paese più in rivolta sembra il Brasile del presidente socialista Luiz Inacio Lula da Silva. Venerdì scorso è arrivata nella città amazzonica di Manaus la prima ondata di brasiliani deportati dagli Stati Uniti dopo l’insediamento di Donald Trump. Le immagini dei passeggeri sbarcati in manette e catene, così come le accuse di trattamento disumano, hanno scatenato un putiferio durante il fine settimana nel discorso politico della più grande nazione dell’America Latina. Entrare illegalmente negli Stati Uniti, dopo tutto, non è un crimine in Brasile.
Il volo faceva parte di un accordo bilaterale tra Stati Uniti e Brasile, firmato nel 2018, che mirava ad accelerare la deportazione dei brasiliani detenuti nei centri di detenzione per immigrati degli Stati Uniti. Nel 2021, dopo le notizie secondo cui i brasiliani venivano ammanettati durante i voli di deportazione, il governo brasiliano aveva richiesto una revisione della procedura da parte delle autorità statunitensi, tra cui l’allora consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e l’ex segretario di Stato Antony Blinken.
La procedura standard degli Stati Uniti prevede l’uso delle manette durante l’imbarco dei deportati quando si trovano ancora sul suolo americano, ma l’uso delle manette durante il volo è raccomandato solo se c’è un rischio per i passeggeri o l’equipaggio. Nel 2021, il ministro degli Esteri brasiliano avvertì che se la richiesta non fosse stata accolta, il governo brasiliano avrebbe potuto rifiutare l’atterraggio dei voli di deportazione nel Paese. Di conseguenza, la prassi standard da allora è stata di limitare l’uso delle manette all’interno dell’aereo e solo quando necessario per la sicurezza del volo.

Finora però il governo di centro-sinistra di Luiz Inácio Lula da Silva non era sembrato desideroso di attaccare briga con Trump; i diplomatici brasiliani avrebbero ricevuto istruzioni di non rispondere alle provocazioni, ma di chiedere con fermezza e discrezione chiarimenti sul trattamento dei brasiliani in custodia negli Stati Uniti.
Gli eventi di questo fine settimana sono arrivati sulla scia di una conversazione telefonica tra Lula e la presidente messicana Claudia Sheinbaum, in cui i due leader hanno “riaffermato il loro impegno a promuovere relazioni produttive con tutti i Paesi delle Americhe, compresa la nuova amministrazione statunitense, con l’obiettivo di preservare la pace, rafforzare la democrazia e promuovere lo sviluppo regionale”, secondo un comunicato ufficiale. Leggendo tra le righe, i capi dei due giganti latinoamericani si stanno riunendo per studiare una strategia su come reagire a Trump: Messico e il Brasile potrebbero riallacciare le relazioni più calorose da generazioni. Il Messico da parte sua sta ancora studiando come reagire alla decisione trumpiana di rinominare il Golfo del Messico “Golfo d’America”, sebbene coinvolga solo gli atlanti in uso negli Stati Uniti…

La Colombia ha adottato un approccio diverso. Domenica Gustavo Petro, il primo presidente colombiano di sinistra, ha negato il permesso di atterraggio a due aerei militari statunitensi che trasportavano deportati. Dopo l’aspra reazione da parte di Trump con la minaccia dell’aumento dei dazi, Petro ha risposto annunciando tariffe simili sui prodotti statunitensi e ha dichiarato che la Colombia accetterà i deportati solo a bordo di voli civili, garantendo loro un trattamento umano. Si è offerto di inviare l’aereo presidenziale a prelevare i cittadini colombiani negli Stati Uniti, in un lungo post su X in cui ha citato anche i quartieri neri di Washington D.C., Walt Whitman, Paul Simon e Noam Chomsky, oltre che Sacco e Vanzetti, gli anarchici immigrati italiani giustiziati in Massachusetts nel 1927. Molti esponenti della sinistra latinoamericana hanno espresso sui social media la loro ammirazione per l’intransigenza di Petro. Poi nel giro di poche ore la marcia indietro: “Il governo colombiano comunica di aver superato l’impasse con il governo degli Stati Uniti”, si leggeva in un comunicato ufficiale diramato domenica sera.

La lezione principale di questo incidente è che attualmente non esiste una strategia chiara e coordinata tra i leader latinoamericani per affrontare la natura dirompente di questa seconda presidenza Trump. È possibile che la riunione della Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi non porti a nulla, perché ci sono troppe istanze a dividere i governi latinoamericani per una stretta coordinazione nei confronti degli Stati Uniti. Il Brasile ha le sue carte da giocare: Lula ha avuto una telefonata con Vladimir Putin per, come ha detto lui stesso, “discutere delle questioni dell’agenda globale e tra i nostri paesi.” Mentre difficilmente si muoverebbe contro Washington l’Argentina di Javier Milei, presente con Giorgia Meloni all’insediamento di Trump. Però diventare sudditi statunitensi non piace a nessuno, e tutti i paesi del sud del continente cercano partner commerciali affidabili, non imperialisti superbi. Una strategia comune potrebbe cercare altri spazi per i loro export.