L’ordine esecutivo di Donald Trump contro le politiche di diversità, equità e inclusione, DEI, mirate a promuovere un ambiente di lavoro e una società più giusta e rappresentativa, ha creato molta confusione tra le aziende e i loro legali, che non sanno più come muoversi. Il decreto impone ai contraenti di non partecipare a pratiche discriminatorie “illegali”, ma senza definire chiaramente cosa costituisca una violazione. Questo ha generato incertezze su come verranno identificati i “trasgressori” e quali sanzioni potrebbero essere applicate.
Secondo gli avvocati, la direttiva del leader dei GOP, che considera le attuali norme come penalizzanti nei confronti soprattutto dei bianchi e della meritocrazia, non chiarirebbe metodi e procedure. Inoltre, non sono stati forniti dettagli su come le agenzie governative intendano redigere eventuali elenchi degli “eversivi” né quali criteri verranno utilizzati.
Questo ha visto molti studi legali, come quello di Seyfarth Shaw, con sede principale in Illinois, specializzato nelle aree del diritto del lavoro, ricevere numerose richieste di delucidazioni da parte di ditte, preoccupate per le possibili implicazioni.
La ripercussione di questa introduzione è stato un vero e proprio “effetto paralizzante” per molte società, che, pur non ritenendo di violare alcuna legge, si trovano a dover rivedere i loro programmi interni di diversità, e a prendere in considerazione anche possibili costi finanziari derivanti da contenziosi.
Aziende come Amazon, Boeing e Bank of America, che dipendono in larga misura dagli appalti federali, sono tra quelle più colpite da questa ambiguità. Negli anni ’60, i presidenti John F. Kennedy e Lyndon B. Johnson avevano imposto agli appaltatori federali di garantire pari trattamento a tutte le persone, ma oggi le direttive di Trump sembrano andare in direzione opposta, con i datori di lavoro che si chiedono se convenga mantenere i programmi di DEI o adeguarsi alle nuove disposizioni.
L’ipotesi che questo effetto intimidatorio possa essere voluto trova supporto anche tra i gruppi conservatori, che considerano la confusione come un modo per far sì che le società vengano spaventate da eventuali indagini e rinuncino spontaneamente ai programmi.
Questa disposizione potrebbe spingere infatti molte aziende a rivedere le proprie politiche di inclusione, in quanto “rischiose” e cercare di evitare azioni da parte del Dipartimento di Giustizia nei loro confronti.