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Gaza, regge il cessate il fuoco: i primi tre ostaggi tornati in Israele

Sono tre donne: Emily Damari, Doron Steinbrecher, Romi Gonen. Il ministro israeliano Ben Gvir abbandona il governo

Maria GaleottibyMaria Galeotti
Gaza, regge il cessate il fuoco: i primi tre ostaggi tornati in Israele

One of the Israeli hostages exiting a vehicle to be handed over to the International Committee of the Red Cross (ICRC) during the hostage-prisoner exchange operation in Saraya Square in western Gaza City on January 19, 2025 (Photo by AFP / ANSA)

Time: 3 mins read

I primi tre ostaggi israeliani rilasciati da Hamas – Romi Gonen, Emily Damari e Doron Steinbrecher – hanno riabbracciato domenica pomeriggio i propri cari nel campo allestito dall’esercito israeliano a Reem. A riferirlo sono i media dello Stato ebraico poche ore dopo dall’entrata in vigore dell’accordo su un cessate il fuoco tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, partito alle 11:15 ora locale di domenica.

“Il Governo di Israele accoglie con affetto le tre donne liberate”, si legge in una notta dell’ufficio primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che si è detto “impegnato a riportare a casa tutti gli ostaggi e i dispersi”.

Le prime liberate sono appunto tre donne: Emily Damari, 28anni, e Doron Steinbrecher, 31 anni, rapite dalle loro case nella tragica giornata del 7 ottobre, e Romi Gonen, 24 anni, sequestrata quel giorno al Nova Festival dai miliziani di Hamas.  I video del 7 ottobre mostravano Damari, che è anche cittadina britannica, ferita a una gamba e a una mano. Steinbrecher era apparsa l’anno scorso in un video pubblicato da Hamas: aveva perso molto peso. Di Damari e Gonen non si avevano notizie da quando un ostaggio rilasciato durante la prima breve tregua del novembre 2023 aveva detto alla famiglia che Gonen era viva, ma ferita.

In cambio, in queste ore dovrebbero far ritorno tra le braccia dei familiari anche circa 90 prigionieri palestinesi della Cisgiordania e di Gerusalemme, tra cui 69 donne e 21 minorenni.

La tregua, che era inizialmente prevista per oggi alle 8:30 ora locale (le 7:30 in Italia, l’una e mezza del mattino a New York), era stata ritardata perché il governo Netanyahu chiedeva l’elenco dei nomi da rilasciare durante la giornata. Il ritardo è costato la vita ad almeno altri 13 palestinesi: lo riportano i media israeliani, che citano canali di Gaza.  In precedenza, la Protezione civile di Gaza – espressione di Hamas – aveva comunicato otto vittime. Altri cinque morti sono poi stati segnalati in seguito a un attacco dell’Esercito israeliano nell’area di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza”.

La prima ricaduta politica dell’accordo per l’esecutivo Netanyahu, ampiamente prevista, è arrivata subito dopo l’annuncio dell’entrata in vigore della tregua. Il partito del ministro della sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben Gvir, Potere ebraico, formazione ortodossa di estrema destra, ha annunciato la sua uscita dalla coalizione di governo. Ben Gvir si  era opposto strenuamente all’ipotesi di tregua.

Una soluzione possibile è l’ingresso in coalizione dell’ex premier Yair Lapid, al momento leader dell’opposizione ma già in passato al governo con Netanyahu: il suo partito centrista Yesh Atid è il secondo per numero di deputati alla Knesset.

L’entrata in vigore della tregua è stata celebrata tanto da Joe Biden quanto dal suo successore Donald Trump. Il democratico ha affermato che il Medio Oriente è stato “profondamente trasformato” e che Hamas non governerà più Gaza, poiché il suo leader (Haniyeh, ucciso a Teheran da un raid israeliano a luglio) è morto “e gli sponsor di Hamas nel Medio oriente sono stati indeboliti da Israele”.

Trump ha avvertito sabato che l’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas “è meglio che regga”, altrimenti “scoppierà l’inferno”. “Lo vedremo molto presto, e sarà meglio che regga”, ha detto Trump durante un’intervista ad NBC News, aggiungendo che incontrerà Netanyahu “a breve”.

Displaced Palestinians cheer as they return to Rafah in the southern Gaza Strip on January 19, 2025 (Photo by Eyad BABA / AFP / ANSA)

L’accordo, raggiunto dai mediatori mercoledì, pochi giorni prima dell’insediamento del nuovo presidente americano Donald Trump, ha alimentato le speranze di una pace duratura nonostante l’ennesimo avvertimento di Netanyahu. ll premier, infatti, ha avvertito che l’accordo è “un cessate il fuoco temporaneo” e che il suo Paese mantiene “il diritto di riprendere la guerra se necessario e con il sostegno degli Stati Uniti”.

Secondo i termini dell’accordo, le ostilità devono cessare e 33 ostaggi israeliani devono essere rilasciati, in una prima fase distribuita su sei settimane. In cambio, Israele rilascerà 737 prigionieri palestinesi, secondo il ministero della Giustizia israeliano.

L’intesa permette anche l’ingresso di aiuti a Gaza. “2000 camion che trasportano aiuti umanitari e merci sul lato egiziano del valico di Rafah si stanno preparando a entrare nella Striscia”: lo scrive su X la tv pubblica egiziana Al Qaera precisando gli automezzi “trasportano cibo, vestiti, forniture mediche, tende, prodotti per l’igiene e altri articoli di prima necessità”. 

Il valico di Rafah, che deve riaprire oggi nell’ambito degli accordi, è l’unico punto di passaggio terrestre tra la Striscia e l’Egitto, che lo gestisce dal proprio lato (mentre il valico di Kerem Shalom è al confine anche con Israele, che lo controlla). Rafah è rimasto sempre chiuso dal maggio dell’anno scorso, quando le forze armate israeliane compirono un’operazione militare nella città omonima, situata nella parte meridionale di Gaza, prendendo il controllo del lato palestinese del valico.

 

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Maria Galeotti

Maria Galeotti

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