Segnali misti. Progressi, incertezza, difficoltà. È stato un quadro non nuovo quello dell’accordo tra Israele e Hamas per un cessate il fuoco – temporaneo – e il rilascio di un certo numero di ostaggi trattenuti – vivi o morti – nella striscia di Gaza. L’essenziale era annunciarlo prima dell’insediamento alla Casa Bianca del nuovo presidente americano. Però restano sul tavolo, irrisolte, questioni fondamentali. E anche se, per non troppo dispiacere a Trump, gli uni e gli altri annunceranno ufficialmente il compromesso, resta da chiedersi se sarà effettivamente messo in pratica e rispettato.
Netanyahu, è chiaro, non vuole assolutamente impegnarsi, come chiedono i palestinesi, a mettere fine alla guerra. Il premier israeliano deve fare i conti con le pressioni dell’estrema destra messianica e quelle legate ai suoi procedimenti giudiziari che potrebbero portare a condanne per corruzione e altro. Hamas vuole almeno un successo per giustificare i quasi 50 mila morti, i feriti (di cui non si ha una cifra precisa), e la vasta devastazione a Gaza compiuta da Israele dopo l’attacco alle comunità israeliane il 7 ottobre 2023. I negoziati in corso sotto la pressione americana sembrano aver convinto gli uni e gli altri a trovare il modo per consentire a Trump di sbandierare un successo il giorno in cui, il 20 gennaio, giurerà fedeltà alla Costituzione americana.
I punti non risolti non sono di poca importanza. Hamas vuole che l’accordo segnali la fine della guerra, delle azioni militari e civili contro i palestinesi di Gaza. Ci sono anche alcune questioni riguardo il numero e i nomi dei prigionieri palestinesi che saranno rilasciati. Potrebbe essere sufficiente un piccolo incidente per bloccare tutto. Le forze armate israeliane continuano ad attaccare nel Libano meridionale anche se Tel Aviv si era impegnato, anche con Washington, a sospendere le incursioni. Oltre alla questione prettamente militare, preoccupa il futuro di Gaza. La leadership israeliana continua a mandare segnali contrastanti. E l’ala più fanatica del governo, legata al movimento dei coloni, mentre minaccia di far cadere il governo se non saranno accolte le loro richieste di colonizzare la striscia di Gaza (o parte di essa), si sta muovendo per sfruttare i loro alleati nella nuova amministrazione americana e quanto meno accelerare il processo di colonizzazione della Cisgiordania. E l’annessione a Israele (ormai data per scontata negli ambienti governativi a Gerusalemme) del vasto territorio occupato.
Una delegazione ufficiale di leader dei coloni parteciperà all’inaugurazione di Donald Trump, e parteciperà al lancio di un nuovo caucus repubblicano – gli “Amici della Giudea e della Samaria” al Congresso. Hanno già individuato un alleato nel nuovo ambasciatore americano Mike Huckabee.
Da quando il governo Netanyahu è entrato in carica, un numero record di unità abitative è stato portato avanti in Cisgiordania. Nel 2023, 12.349 unità abitative, un livello record. Nel 2024 sono state approvate 9.884 unità abitative. L’aumento significato delle approvazioni rispetto al passato è il risultato di cambiamenti politici fondamentali. In precedenza, i piani di costruzione degli insediamenti richiedevano l’approvazione preventiva del Ministro della Difesa. Il 2025 potrebbe vedere un numero record di unità abitative promosse in Cisgiordania, con una media di circa 1.800 unità al mese.