Mezzogiorno di fuoco al Congresso. Alla Camera si vota alle 12 per eleggere lo speaker. I repubblicani hanno il controllo completo di entrambe le Camere. Al Senato il leader della nuova maggioranza è John Thune, il senatore del South Dakota che ha sostituito l’anziano Mitch McConnell che è stato il leader dei repubblicani al Senato per 18 anni. Thune, che è un repubblicano moderato, alcune settimane fa ha vinto l’elezione di leader della maggioranza battendo il candidato sostenuto da Donald Trump, il senatore della Florida Rick Scott.
Diversa la situazione alla Camera dove la rielezione di Mike Johnson è incerta dal momento che, nonostante l’endorsement del presidente eletto, lo zoccolo duro dei repubblicani più conservatori non accetta la sua leadership. Questo dopo una serie di misure da lui adottate sia per i finanziamenti all’Ucraina che per l’ultima legge ponte per finanziare il governo per evitare lo shutdown di fine anno. Decisione aspramente criticate dai conservatori che gli imputano la sua mancanza di volontà di tagliare la spesa pubblica.
La Camera ha 435 parlamentari: 220 sono repubblicani, 215 democratici. Il quorum è 218. Il parlamentare Matt Gaetz si è dimesso prima che la commissione etica della Camera lo deferisse all’autorità giudiziaria per le sue vicende di sesso e droga con una minorenne. Così ora i repubblicani hanno 219 voti. Mike Johnson può permettersi di perdere un solo voto repubblicano e il deputato del Kentucky, Thomas Massie ha già detto che voterà contro la sua nomina.
Secondo Politico lo stesso presidente eletto, per evitare un regolamento dei conti all’interno del suo partito che metterebbe in discussione tutta la sua agenda programmatica, ha personalmente telefonato ai deputati ribelli per convincerli che Johnson è l’unico in grado di ottenere i 218 voti necessari ad essere eletto e così iniziare subito a lavorare all’agenda legislativa.
Al centro di queste trattative ci sono concessioni e posti in commissioni chiave che Johnson è disposto a dare ai ‘falchi’ in cambio del loro voto. In particolare a Johnson vengono richiesti impegni sul taglio della spesa e sul coinvolgimento non solo della leadership nei negoziati per i pacchetti legislativi più importanti. Nel caso che questi negoziati dovessero fallire, la Camera andrà avanti a votare ad oltranza perché senza Speaker non si possono far giurare i deputati per l’insediamento della Camera. Johnson comunque ha espresso ottimismo sul voto di oggi: “stanno parlando dei cambiamenti che vogliono ed io sono aperto, penso che domani le cose andranno bene”, ha detto ieri parlando ai giornalisti.
Sono circa una dozzina i parlamentari “ribelli”. A loro Mike Johnson ha assegnato ruoli chiave nelle future commissioni della Camera.
“Credo che Mike Johnson si sia impegnato con Chip Roy per nominarlo presidente del Commissione per le Regole, per assicurarsi il voto al primo turno”, ha detto acisamente la deputata Lauren Boebert al microfono dell’ex deputato Matt Gaetz che dopo aver lasciato la Camera ha ora un programma televisivo su One America News Network.
Tutti i 215 democratici hanno detto che voteranno per il loro leader, Hakeem Jeffries, come fecero quando Johnson conquistò per la prima volta il ruolo di speaker. Se Johnson dovesse mancare la rielezione, il processo continuerebbe con un secondo scrutinio, anch’esso probabilmente nella giornata di oggi.
I “falchi” del partito repubblicano sono una minoranza che sta imponendo la direzione del partito alla maggioranza. Per loro c’è il rischio che se la nomina di Johnson dovesse fallire si aprirebbe la strada ad un nuovo dialogo tra i due partiti, che potrebbe portare alla nomina di uno speaker repubblicano moderato, sostenuto dai democratici. Ma nessuna alternativa credibile a Johnson è stata lanciata finora.
Il leader della maggioranza alla Camera Steve Scalise, il capogruppo della maggioranza Tom Emmer e il presidente della commissione Giustizia Jim Jordan si sono già candidati alla carica di speaker dopo che Kevin McCarthy venne silurato, ma nessuno di loro ha ottenuto i voti e alla fine venne nominato Johnson.
Durante le ferie del Congresso per le vacanze di Natale lo speaker ha contattato gli “irriducibili”, ma non è chiaro se sia riuscito a conquistare il loro voto.
Il media specializzato Punchbowl News cita assistenti che sostengono che Johnson non è interessato ad accordi dietro le quinte. “Se cede alla destra, si aliena il voto dei suoi compagni di partito moderati. Se accetta le posizioni dei moderati perde il voto della destra”.
Più caustico il superfalco del Kentucky, Thomas Massie, che sui social ha postato un messaggio in cui afferma che “La prima volta Jonson era eleggibile solo perché non aveva ricoperto alcun tipo di posizione di leadership, né aveva mai lottato per nulla, quindi nessuno lo detestava e tutti erano stanchi di votare per candidati che i moderati non volevano. Ha vinto perché era il candidato meno discutibile. Ora che ha mostrato le sue qualità io non lo voto”.