Austin Tice, giornalista americano scomparso in Siria nel 2012, potrebbe presto tornare negli Stati Uniti. A dirlo è stato Joe Biden, che in un intervento domenicale alla Casa Bianca ha ribadito che Washington è impegnata nel riportare a casa il reporter, pur ammettendo che non vi sono prove dirette sul suo stato attuale. “Pensiamo di poterlo riavere indietro,” ha dichiarato Biden.
Tice, originario di Houston, era scomparso nei pressi di un posto di blocco a ovest di Damasco durante il culmine della guerra civile siriana. La sua famiglia, che da anni si batte per il suo rilascio, ha affermato di attendere con ansia il giorno in cui potrà rivederlo libero. “Chiediamo a chiunque possa farlo di aiutarlo a tornare a casa sano e salvo,” hanno detto i genitori, Marc e Debra Tice, in un comunicato al Washington Post.
Le circostanze della sua scomparsa restano avvolte nel mistero. Un video pubblicato poche settimane dopo il suo rapimento mostrava Tice bendato e trattenuto da uomini armati, pronunciando la frase “Oh, Gesù.” Da allora, nessuna altra traccia. La Siria ha negato pubblicamente di averlo trattenuto, ma fonti vicine alla famiglia hanno recentemente indicato che Tice sarebbe vivo e in buone condizioni, secondo quanto riportato dalla madre in una conferenza stampa a Washington.
Mouaz Moustafa, rappresentante della Syrian Emergency Task Force, ha lodato Tice per il coraggio dimostrato nel raccontare al mondo le sofferenze del popolo siriano sotto il regime di Assad. “È un eroe. Dobbiamo riportarlo a casa, a qualunque costo,” le sue parole.
A favorire il rilascio di Tice potrebbe essere la repentina caduta del regime di Bashar al-Assad. Domenica, le forze ribelli hanno annunciato la presa di Damasco, segnando la fine di oltre cinque decenni di dominio della dinastia alawita. La vittoria è stata rivendicata da Hayat Tahrir al-Sham (HTS), un gruppo militante considerato erede di Jabhat al-Nusra, ex affiliato ad al-Qaeda.
“La città di Damasco è finalmente libera dal tiranno Bashar al-Assad,” ha dichiarato Hassan Abdul-Ghani, comandante di HTS, attraverso un messaggio su WhatsApp. Video e immagini diffuse sui social media mostrano scene di giubilo nella capitale: statue di Hafez al-Assad abbattute, bandiere agitate e cori che celebrano la “liberazione.”
Secondo l’agenzia di stampa russa TASS, Assad avrebbe lasciato il Paese e trovato asilo politico a Mosca. La notizia è stata confermata dal ministero degli Esteri russo, che ha descritto l’uscita di scena del presidente come parte di un accordo per garantire una transizione pacifica del potere (a cui tuttavia i russi non avrebbero preso parte). Il primo ministro siriano, Ghazi al-Jalali, ha peraltro dichiarato di voler rimanere nel Paese per assicurare la continuità delle istituzioni statali.
La caduta di Damasco rappresenta un duro colpo per gli alleati di Assad – Russia, Iran e Hezbollah – che per anni hanno sostenuto il regime. Ma l’avanzata fulminea delle forze ribelli lascia aperti interrogativi sul futuro della Siria. “È un momento storico per il popolo siriano, ma anche un momento di grande incertezza,” ha commentato Biden.
Gli sviluppi in Siria si inseriscono in un contesto regionale già teso. Le truppe israeliane si sono schierate lungo il confine con la Siria, mentre le forze curde hanno ripreso il controllo di alcune aree strategiche nel nord-est del Paese. Nel frattempo, i ribelli hanno liberato migliaia di prigionieri detenuti nella famigerata prigione di Sednaya, simbolo delle repressioni del regime.
HTS ha dimostrato una capacità militare sofisticata, risultato di anni di riorganizzazione e dell’uso di tecnologie avanzate, come droni e missili di produzione locale. La loro rapida avanzata – da Aleppo ad Homs, passando per Hama – ha mostrato la vulnerabilità dell’esercito lealista, in un momento in cui i suoi partner internazionali erano distratti da crisi più vicine a loro (l’Ucraina per la Russia, la minaccia israeliana per l’Iran).
Dal 2011, la guerra civile siriana ha causato oltre 500.000 morti e milioni di sfollati. E la comunità internazionale si interroga ora su come stabilizzare un Paese devastato da anni di conflitti.