Cose da sapere sulla COP29 che si è appena conclusa a Baku in Azerbaigian, con un criticatissimo accordo per finanziamenti di 300 miliardi di dollari l’anno per aiutare i paesi in via di sviluppo a lottare contro il cambiamento climatico.
Il termine “paese in via di sviluppo” definisce nazioni povere o emergenti e deriva dal primo accordo sul clima negoziato dall’Onu nel 1992 – in contrario a “paesi sviluppati” come quelli del G7. La differenza indica chi deve contribuire alla lotta al cambiamento climatico: si tratta oggi di 23 nazioni che vorrebbero allargare il pool, perché in trent’anni il panorama geostrategico è molto cambiato e per esempio Cina, India e i Paesi del Golfo Arabo, fra i maggiori inquinanti, sono tuttora considerati “in via di sviluppo”.
Cos’è la COP? È la “Conferenza delle Parti” (“Conference of the Parties”) ovvero i paesi che ratificano un trattato detto UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change – l’Onu raramente è brava a trovare acronimi agili). Circa 200 paesi firmarono il primo nel 1992 e da allora ogni anno si incontrano per negoziare modifiche al trattato. La COP30 l’anno prossimo sarà in Brasile. Quest’anno a Baku, capitale dell’Azerbaigian, sono arrivati quasi 50mila delegati per due settimane.
La formula delle COP, secondo diversi altissimi funzionari Onu, non funziona più e andrebbe riformata urgentemente; in particolare i paesi che non sostengono lo stop alle energie fossili non dovrebbero ospitare i vertici. Questa settimana il presidente dell’Azerbaigian ha detto ai leader alla COP che il gas naturale del suo paese è “un dono di Dio” e non dovrebbe essere colpevolizzato perché vuole venderlo. La COP30 sarà ospitata dal Brasile, grande produttore di petrolio.
L’Afghanistan al centro dell’attenzione: il governo dei talebani di solito ostracizzato dalla comunità internazionale è stato invece invitato a Baku perché l’Afghanistan è considerato uno dei paesi il cui equilibrio è più gravemente compromesso dai cambiamenti climatici, oltre ad essere fra i più poveri e meno inquinanti del mondo. I talebani hanno chiesto alla comunità internazionale di riaprire i canali dei fondi per i progetti climatici bloccati tre anni fa quando hanno ripreso il potere, mettendo in atto quello che l’Onu ha definito un “apartheid di genere” con fortissime restrizioni alla possibilità per donne e ragazze di frequentare scuole superiori, uscire di casa e andare in parchi e palestre.