È tutto pronto. Il presidente eletto Donald Trump ha confermato con un post su Truth Social che avrebbe predisposto tutto per dichiarare “emergenza nazionale” per deportare i migranti illegali con l’esercito fin dal primo giorno di rientro alla Casa Bianca.
Trump avrebbe re-postato e confermato un commento fatto da Tom Fitton, presidente di Judicial Watch, un gruppo che “indaga e persegue la corruzione del governo”. L’attivista sostiene che “l’amministrazione entrante è pronta a dichiarare un’emergenza nazionale e userà i mezzi militari per invertire l’invasione di Biden attraverso un programma di deportazione di massa”, si legge nel post di Truth Social.
Il presidente eletto ha risposto con un “vero” a lettere cubitali.
Il primo a riportare la notizia è il New York Post.
L’immigrazione è stato uno dei punti chiave della campagna elettorale di Trump, forse il motivo principale per cui ha vinto le elezioni. Dichiarando “emergenza nazionale”, il presidente eletto riuscirebbe a reindirizzare i fondi militari verso la detenzione e la rimozione dei migranti. Alcuni finanziamenti destinati al Pentagono andrebbero a sostenere le spese per il muro al confine meridionale.
Le fonti interne fanno riferimento a circa 1,3 milioni di immigrati clandestini che hanno già ricevuto ordine di espulsione definitivi o che hanno condanne o accuse penali e che sarebbero i primi a essere deportati se venisse approvato lo stato di emergenza nazionale. Ma il progetto di Trump non si limiterebbe solo a questi: potrebbe estendersi a tutti coloro che non hanno ancora ottenuto asilo politico.
Negli Stati Uniti, ci sono circa 13 milioni di persone senza documenti per un totale di 315 miliardi di dollari per realizzare questo progetto, secondo i dati dell’ American Immigration Council.
Non si tratta solo del costo che la realizzazione di un progetto di questa portata comporterà. Certi settori fondamentali funzionano solo grazie alla manodopera di immigrati, di cui buona parte è senza documenti. Alcuni economisti prevedono un aumento dei prezzi di beni e servizi – quindi inflazione alta – e una riduzione nei tassi dell’occupazione.