Molti temono che arrivando alla Casa Bianca, Donald Trump usi l’arma della censura e della repressione per cercare di controllare la libera stampa, il “campo nemico” come l’ha recentemente definita; però la guerra è già cominciata, nei tribunali. Mancano ancora due mesi all’insediamento, e il presidente eletto ha già avviato azioni legali, a vario titolo, contro il quotidiano New York Times, la casa editrice Penguin Random House, il Daily Beast e la CBS News.
Giovedì, la Columbia Journalism Review ha rivelato che pochi giorni prima delle elezioni presidenziali, l’avvocato di Trump, Edward Andrew Paltzik, ha inviato una lettera al New York Times e alla Penguin Random House chiedendo 10 miliardi di dollari di danni per alcuni articoli critici nei confronti dell’allora candidato repubblicano.
La lettera, di cui la CJR ha preso visione, accusa in particolare i giornalisti Peter Baker, Michael S. Schmidt, Susanne Craig e Russ Buettner di “dichiarazioni false e diffamatorie” nei confronti di Trump, aggiungendo che il New York Times è un “portavoce a tutto campo del partito democratico” che compie “diffamazioni su scala industriale contro gli avversari politici”.
Secondo la CJR, la lettera fa riferimento a due pezzi di Buettner e Craig collegati al loro ultimo libro, Lucky Loser: How Donald Trump Squandered His Father’s Fortune and Created the Illusion of Success. La lettera cita anche un articolo di Baker del 20 ottobre intitolato “For Trump, a Lifetime of Scandals Heads Toward a Moment of Judgment” (“Per Trump, una vita di scandali si dirige verso il momento di giudizio”) e un articolo di Schmidt del 22 ottobre intitolato “As Election Nears, Kelly Warns Trump Would Rule Like a Dictator” (“Con l’avvicinarsi delle elezioni, Kelly avverte che Trump governerebbe come un dittatore”).
Rivolgendosi al New York Times, la lettera accusa il giornale di avere “tutte le intenzioni di diffamare e screditare il marchio Trump, famoso in tutto il mondo, che i consumatori hanno a lungo associato all’eccellenza, al lusso e al successo nei settori dell’intrattenimento, dell’ospitalità e dell’immobiliare, oltre che a diffamare e screditare falsamente e maliziosamente Trump come candidato alla più alta carica degli Stati Uniti”.
In risposta alla lettera, il Times ha detto a Paltzik di rivolgersi alla Penguin Random House in merito al libro di Buettner e Craig (da essa edito), e ha ribadito il sostegno a quanto affermato dai due giornalisti.
Sempre secondo la CJR, il 5 novembre gli avvocati del co-referente della campagna elettorale di Trump, Chris LaCivita, hanno inviato una lettera al Daily Beast, sito web d’informazioni, chiedendo che il giornale correggesse gli articoli in cui si affermava che LaCivita aveva raccolto 22 milioni di dollari per aiutare la rielezione di Trump. Il Daily Beast ha aggiunto una nota ai suoi articoli, indicando che “sulla base di un’ulteriore revisione dei registri della FEC, il totale corretto è di 19,2 milioni di dollari. The Beast si rammarica per l’errore”. Ciò non è bastato alla campagna Trump, che ha inviato una lettera dell’avvocato al Beast secondo cui non è stato posto rimedio “al messaggio complessivo della storia, che dipinge il signor LaCivita mentre intasca in modo ingannevole i soldi della campagna per il proprio tornaconto personale… L’intera narrazione è completamente falsa ed è il risultato di un reportage ingannevole e irresponsabile del Daily Beast”..
Trump e i legali della sua campagna elettorale hanno citato in giudizio pure la CBS News, il mese scorso, sostenendo che l’intervista del 7 ottobre a Kamala Harris al programma 60 Minutes (dove Trump era stato invitato e non è andato) è stata modificata ad arte e ha rappresentato “un’interferenza elettorale”. In una memoria di 19 pagine, i legali chiedevano 10 miliardi di dollari di danni accusavando CBS di essersi “data da fare per far eleggere Kamala” e di “atti faziosi e illegali di interferenza con gli elettori attraverso una distorsione maliziosa, ingannevole e sostanziale delle notizie”.
In risposta, la CBS ha definito la causa “completamente priva di merito”, ha negato che l’intervista sia stata modificata e ha promesso di “difendersi vigorosamente”.
Ancora: Trump ha denunciato il Washington Post alla Commissione elettorale federale, accusandolo di aver fornito contributi in natura illegali alla campagna di Harris. Il Washington Post ha dichiarato che si tratta di accuse “senza fondamento”. Il quotidiano quest’anno, per la prima volta dagli anni Settanta, non ha espresso un endorsement ufficiale, dietro esplicita richiesta del suo proprietario, il miliardario fondatore di Amazon Jeff Bezos , e nonostante il Comitato editoriale avesse già pronto un pezzo a favore di Harris.
Chissà che fine faranno adesso queste cause? In risposta alla vittoria di Trump e ai suoi ripetuti attacchi contro i giornalisti, il Committee to Protect Journalists, organizzazione no profit con sede a New York, ha definito le minacce di Trump contro la stampa un “pericolo chiaro e diretto per la libertà dei media”. “Il clima ostile ai media promosso durante la prima presidenza di Donald Trump – che si prevede continuerà nel suo imminente secondo mandato – pone grandi rischi per i media dentro e fuori il Paese”, ha aggiunto il CPJ.
Reporter senza frontiere ha rilasciato una dichiarazione simile dopo la vittoria di Trump, affermando che “attaccare la stampa è in realtà un attacco al diritto dei cittadini americani di sapere. La nuova amministrazione Trump può e deve cambiare il suo rapporto con i media e adottare misure concrete per proteggere i giornalisti e sviluppare un clima favorevole a un’informazione robusta e plurale”.