Accettare di dirigere Mufasa: Il Re Leone non è stata una decisione semplice per Barry Jenkins. Dopo aver vinto l’Oscar con Moonlight nel 2016, un film di formazione che racconta infanzia, adolescenza, età adulta di Chiron, afroamericano gay che viene dai quartieri poveri di Miami, Jenkins torna a raccontare un’altra storia di trasformazione: quella di un cucciolo di leone orfano che diventa il leggendario re delle Terre del Branco.
“Quando la Disney mi ha chiesto di dirigere il film, la mia reazione iniziale è stata di rifiuto”, ha raccontato il regista in un incontro a Roma per presentare le prime immagine del film. “Non riuscivo a capire perché volessero me. Poi, dopo un po’ di riflessione e grazie anche a mia moglie, ho deciso di darle una chance”. È stata proprio la scrittura a convincerlo: “C’era qualcosa di speciale in questa storia. Dopo aver letto i primi 39 minuti, mi sono girato verso mia moglie e le ho detto: ‘È fantastico. Devo farlo”.
La trama, narrata attraverso i flashback di Rafiki alla giovane Kiara, figlia di Simba e Nala, racconta l’infanzia di Mufasa. Orfano e solo, il futuro re trova una nuova famiglia e un mentore in Taka, destinato a diventare Scar. Il film esplora temi universali come il destino, la ricerca dell’identità e la complessità delle relazioni familiari. Jenkins sottolinea come questa non sia solo la storia di un leader nato, ma di un individuo plasmato dalle esperienze: “Mufasa non è re per diritto di nascita, ma per le scelte che fa e la comunità che lo circonda”.

Portare la sua forma lirica in un blockbuster Disney è stato un processo lungo e meticoloso. Jenkins ha lavorato con i suoi collaboratori storici per mantenere intatta la sua visione, nonostante le difficoltà tecniche. “La sfida più grande è stata padroneggiare la tecnologia”, ha spiegato. “Mi piace lavorare con attori sul set, ma qui dovevo affidarmi agli animatori, che hanno dovuto ‘disegnare’ emozioni e movimenti attraverso il proprio corpo”.
Per garantire autenticità, Jenkins ha registrato prima le voci degli attori, trasformando il film in una sorta di radiodramma. Da lì, il team ha sviluppato storyboard, animazioni e persino una versione in realtà virtuale del film. “Abbiamo usato tute speciali per gli animatori, che si sono immersi nei movimenti fisici dei leoni”, ha raccontato. “Era l’unico modo per tradurre emozioni complesse in personaggi a quattro zampe”.
Un altro elemento chiave del progetto è stata la musica, curata da Lin-Manuel Miranda e Nicholas Britell. Jenkins ha sottolineato come fosse essenziale rispettare l’eredità musicale del Re Leone: “Le canzoni dovevano servire la storia, non distrarre da essa. Lin-Manuel è stato chiaro fin dall’inizio: dovevamo onorare l’originale e al tempo stesso creare qualcosa di nuovo”. La colonna sonora include brani potenti come Mielele, che intrecciano la magia visiva del film con colori vividi e simbolismi universali. Jenkins ha cercato di portare un tocco di Fantasia nell’estetica del film, con scene che evocano mondi onirici e trascendenti: “Volevo che alcune sequenze sembrassero sospese fuori dal tempo, come una metafora visiva del viaggio interiore di Mufasa”.

Uno dei temi centrali del film è la leadership e la sua natura complessa. Jenkins ha voluto sfidare la concezione tradizionale del re come figura predestinata, mostrando invece Mufasa come un individuo formato dalle sue esperienze. “Mufasa è stato adottato, eppure è diventato il re dei re. Questo film vuole dire a chiunque si senta inadeguato che anche loro possono essere leader”, ha detto il regista. Jenkins ha rivelato come molte delle dinamiche familiari del film abbiano riflesso le sue esperienze personali: “Mia madre è morta durante la lavorazione del film. È stato un processo doloroso, ma in qualche modo questa storia mi ha aiutato a elaborare quel trauma”.
Il rapporto tra Mufasa e Taka, destinato a diventare Scar, è particolarmente significativo. Jenkins esplora le scelte e le circostanze che portano i due fratelli adottivi a percorrere strade così diverse. “La natura contro l’educazione è un tema che mi affascina. Mufasa e Scar sono entrambi esseri umani complessi. Le loro vite prendono direzioni opposte a causa delle circostanze e delle persone che li circondano”, ha spiegato il regista.
Ma il regista non si ferma qui. C’è un messaggio che va oltre la trama: Jenkins guarda al mondo contemporaneo, a un’epoca in cui le sfide per le nuove generazioni sono più frammentate e imprevedibili che mai. “Voglio che i bambini escano dal cinema sapendo che le origini non definiscono chi sei. La leadership non è qualcosa di predeterminato; è una scelta. Questo è un messaggio universale, che vale per ogni Paese e per ogni individuo”.
Jenkins ha fatto di questa fiaba una parabola esistenziale sulla resilienza. Dopo averci mostrato il buio in Moonlight, il regista ci invita ora a seguire la luce di Mufasa, dimostrando ancora una volta che il cinema è uno specchio dell’anima. Dopo quattro anni di lavoro, Jenkins si dice grato per l’opportunità: “Se mi avessero detto da bambino che un giorno avrei diretto un film del Re Leone, non ci avrei creduto. Eppure eccoci qui. È la prova che nulla è impossibile”.
Mufasa, Il Re Leone arriverà nelle sale italiane il 19 dicembre, e il giorno successivo negli Stati Uniti.