Per dimostrare che il trasferimento di poteri sarà pacifico ed efficace, Joe Biden ha invitato mercoledì Donald Trump alla Casa Bianca come a indicare che l’America deve tornare un paese normale.
I ricchi intanto diventano sempre più ricchi, e Elon Musk lo sapeva che sarebbe stato un ottimo affare sostenere Donald Trump: all’indomani della vittoria del repubblicano, il patrimonio del fondatore di Tesla e SpaceX ha superato i 300 miliardi di dollari (trecento miliardi di dollari, sì), secondo Bloomberg. Un dieci miliardi in più, grazie alla certezza che l’amministrazione Trump creerà un ambiente favorevole agli affari di Musk, per esempio chiudendo le frontiere ai veicoli cinesi, elettrici e/o a guida automatica, concorrenza primaria per il “robotaxi” Tesla. Ma si possono prevedere anche contratti governativi più rapidi e meno intoppi burocratici.
Aggiungiamo l’aperto supporto di Trump per l’obbiettivo Marte che SpaceX si propone (mandare un razzo sul pianeta rosso entro i prossimi quattro anni, bel fiore all’occhiello per la Casa Bianca e la filosofia Make America Great Again), e l’idea che Musk potrebbe entrare nel prossimo governo. Il CEO di Tesla ha contribuito con oltre 130 milioni di dollari alla campagna Trump, oltre a coinvolgersi personalmente nei comizi elettorali delle ultime settimane e a varare una lotteria da 1 milione di dollari al giorno per gli elettori (iniziativa che ha scatenato una cascata di azioni legali).
L’influenza di Musk su Trump oggi è palese dopo la notizia che mercoledì, durante una telefonata con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il presidente eletto ha messo in collegamento anche il CEO di SpaceX. Trump avrebbe affermato che sosterrà l’Ucraina, ma senza entrare nei dettagli. Musk sarebbe intervenuto per annunciare che continuerà a sostenere l’Ucraina tramite i suoi satelliti Starlink.
È vero che Donald Trump storicamente ha un indice altissimo di litigiosità e conflitti con i suoi collaboratori (nel primo mandato alla Casa Bianca secondo uno studio il tasso di ‘eliminazione’ ha raggiunto l’85%): quando durerà il rapporto con un’altra forte personalità come quella di Musk, e cosa succederà se si arrivasse allo scontro?
Il presidente eletto venerdì comunque ha lasciato intendere che Musk non vuole avere un ruolo di governo tradizionale, ma potrebbe diventare “il ministro dei tagli”: ridurre i costi sociali… ma senza impatto per la qualità dei servizi, assicura, insomma un vero miracolo. Secondo Trump, intervistato da Maria Bartiromo, Elon Musk “muore dalla voglia” di prendersi il compito di tagliare la spesa pubblica, e ce la farà grazie al suo acume affaristico. Del resto, dopo essersi comprato nel 2022 X (l’ex Twitter), ha tagliato i costi del social network col semplice espediente di licenziare una parte dei dipendenti.
Elon Musk è il numero uno fra i miliardari che hanno sostenuto Trump, ma non l’unico. La coalizione dei ricchissimi comanda circa 400 miliardi di dollari, e fra di loro c’è gente che può partecipare direttamente al governo o agire come consigliere ufficiale o ufficioso, da John Paulson a Steve Wynn, Howard Lutnick, Nelson Petz, Jess Yass, Peter Thiel, Timothy Mellon, e anche una donna, la medica e imprenditrice israeliana Myriam Adelson.
Intanto, Musk apparentemente ha paura della Cina. Secondo Reuters, SpaceX ha chiesto ad alcuni fornitori taiwanesi di spostare i loro quartier generali in Vietnam o in Thailandia: sono 46 le aziende taiwanesi che producono componenti per l’industria satellitare, e di queste una decina forniscono materiale a SpaceX. Per esempio la Chin-Poon Industrial, che conferma di essere stata contattata dall’industria spaziale del miliardario nato in Sudafrica, mentre la Wistron NeWeb Corporation (WNC) e l’Universal Microwave Technology già si sono in parte trasferite in Vietnam.
Già nel 2022, in un’intervista al Financial Times, Musk aveva dichiarato che il conflitto con Pechino su Taiwan è “inevitabile”. Di più: ha detto anche che Taiwan è una parte integrante della Cina, esattamente quindi l’opinione di Pechino.
La difesa dell’isola “ribelle” è tema delicatissimo in America, sostenuto dai dem (l’ultimo viaggio di Nancy Pelosi a Taipei aveva fatto infuriare Pechino) ma con qualche mal di pancia. Certo, la via del rapporto con Pechino è stretta perché l’amministrazione Trump vorrebbe arginare l’arrivo dei prodotti cinesi sul mercato americano. Ma da un punto di vista filosofico, quanto sarebbe più facile evitare conflitti, lasciare che Taiwan, democratica e industrializzata venisse riassorbito dalla Cina, e in fondo, dare la mano al modello cinese: capitalismo senza democrazia.