Chi è contento, chi no: ma di fronte all’elezione di Donald Trump, i leader europei riuniti a Budapest in vertice informale si posizionano e si preparano a un alleato americano molto diverso da quello degli ultimi 4 anni – memori delle politiche del primo mandato Trump. A suonare la carica Giorgia Meloni, che in molti considerano un possibile ponte con la nuova amministrazione americana, grazie alle sue radici iperconservatrici e alla sua amicizia personale con i leader della destra europea e, non ultimo, con Elon Musk, grande finanziatore e sponsor della campagna Trump.
Ci sono molte questioni strategiche da dirimere, in primis in relazione all’Ucraina e al contributo statunitense alla Nato; il secondo mandato Trump insisterà perché l’Europa si faccia carico della propria difesa. Ma a Budapest il vertice informale, dedicato alla competitività, si concentra sui rischi del protezionismo statunitense. Giorgia Meloni ha suonato la carica perché ha invitato gli alleati a buttarsi nella sfida, anzi a considerarla un’opportunità.
“La domanda è se vogliamo dare gli strumenti agli Stati membri e la questione delle risorse è la questione che va affrontata. Questo è il vero dibattito” ha detto Meloni arrivando al summit. “A me – ha aggiunto – pare che l’Europa debba trovare una quadra e prendere le misure di se stessa perché poi sembra che noi scopriamo dei dibattiti oggi, penso al tema della competitività, al tema dei dazi. Però il dibattito sulla competitività europea è iniziato mesi fa, ebbe un’impennata all’indomani dell’Ira dell’amministrazione Biden che rischiava di creare un disequilibrio con l’attrattività europea. Il dibattito è sempre ‘Non chiederti cosa gli Usa possano fare per te, chiediti cosa l’Europa debba fare per se stessa’. Questo è il dibattito di oggi, partendo dal piano Draghi”.
Meloni si riferisce al rapporto su come rilanciare la crescita Ue, pubblicato in settembre dall’ex presidente del Consiglio Italiano, Mario Draghi, su richiesta della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (a margine varrà la pena di notare che il partito di Meloni era l’unico che non partecipava al governo Draghi di unità nazionale, e che gli ha fatto la guerra gioendo quando è caduto nel 2022).

Nel suo rapporto, l’ex presidente della BCE ha auspicato un programma di riforme economiche radicali. “Le mie raccomandazioni erano già urgenti, considerando la situazione economica in cui ci troviamo, ma lo sono ancora di più dopo le presidenziali statunitensi”, ha dichiarato Draghi al suo arrivo nella capitale ungherese. Nel testo, 170 suggerimenti per la crescita green e digitale. Draghi è a Budapest proprio per presentarli in dettaglio ai 27 leader.
E se il ritorno di Trump alla Casa Bianca fosse lo stimolo per un salto in avanti? “Come avete visto in tutti questi anni si sono posposte tante decisioni importanti perché aspettavamo il consenso. Il consenso non è venuto, è arrivata solo uno sviluppo più basso, una crescita minore, oggi una stagnazione” ha detto Draghi.
Più nel dettaglio di quello che accadrà con la presidenza Trump: “non c’è alcun dubbio che farà grande differenza nelle relazioni tra Stati Uniti ed Europa, non necessariamente tutta in senso negativo, ma certamente noi dovremmo prenderne atto” ha aggiunto Draghi. “Un paio di cose che vengono in mente sono che questa amministrazione sicuramente darà grande impulso ulteriore al settore tecnologico, al cosiddetto high-tech, dove noi siamo già molto indietro e questo è il settore trainante della produttività; già ora la differenza di competitività tra gli Stati Uniti e l’Europa è molto ampia quindi noi dovremmo in qualche senso agire, e gran parte delle indicazioni del rapporto sono su questo tema”.
“Si sanno poche cose di quello che succederà esattamente” ha aggiunto Draghi, “ma una sembra più sicura delle altre, e cioè che Trump tanto impulso darà nei settori innovativi, tanto proteggerà le industrie tradizionali che sono proprio le industrie in cui noi esportiamo più negli Stati Uniti, e quindi lì dovremmo negoziare con l’alleato americano con uno spirito unitario, in maniera tale da proteggere anche i nostri produttori europei”.
La presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ha detto che “la concorrenza non è solo uno slogan; se a inizio secolo avessimo avuto la stessa crescita degli Usa adesso avremmo 11 milioni di posti di lavoro in più. Non possiamo solo reagire alle elezioni Usa, dobbiamo agire”.
Tutti d’accordo insomma, in tutto l’arco politico Ue? Dipende. Il problema è proprio lo spirito unitario, soprattutto quando deve tradursi in azione politica. Fra i 27 membri dell’Ue, ci sono governi di sinistra, governi di destra filorussi (come quello ungherese), governi centristi gonfi di ambizioni personali ma in difficoltà (quello francese non ha maggioranza in parlamento), governi in crisi politica ed economica come quello tedesco: il cancelliere Olaf Scholz ha appena ieri silurato il suo ministro delle Finanze, Christian Lindner del partito liberale: adesso l’esecutivo – che si reggeva su una coalizione tripartitica – è crollato.